Tom Cruise: «non ho paura del pericolo, fin da piccolo cercavo l’avventura»

di Stefania Ulivi

La star è arrivata a Cannes in elicottero per presentare il suo film «Top Gun Maverick» accolto da una folla festante. «I film si devono vedere solo al cinema»

CANNES – «Perché continuo a rischiare la vita sui set? Nessuno ha mai chiesto a Gene Kelly perché balli». Tom Cruise è atterrato di fronte al Palais des festival in elicottero come ci si aspettava per l’anteprima del suo Top Gun Maverick che ha anche prodotto con Jerry Bruckheimer e atteso due anni prima di far uscire in sala («Nessun rischio andasse sulla piattaforme, durante la pandemia i gestori e i venditori di popcorn mi telefonavano pregandomi di non farlo, per mesi ho dato rassicurazioni a tutti. Faccio film per la sala»). Accolto da una folla da pre-pandemia e dalla pattuglia delle Frecce tricolori dell’aviazione francese. La star, 60 anni il prossimo luglio, fatto di tutto per confermare il suo mito: autografi, foto, sorrisi. Il cinema, insiste a ripetere durante l’incontro con il pubblico — che ha preteso si tenesse in sala Debussy, capienza mille posti — è ben più che il suo mestiere, la sua passione, la sua ragione di vita. Scorrono in dieci minuti le immagini di una carriera lunga oltre quarant’anni — Risky Business, Top Gun, Jerry Maguire, nato il 4 di luglio, Il colore dei soldi, Rain Man, Codice d’onore, Magnolia, Eyes Wide Shut (ma non della sua ex Nicole Kidman ) la saga Mission Impossible — una carriera, che racconta, ha deciso di abbracciare da bambino. Precoce.

«Già da piccolissimo volevo ci fosse l’avventura nella mia vita. Sono sempre stato un sognatore, sempre amato le storie, sono cresciuto con Buster Keaton, Harold Lloyd, Charlie Chaplin, volevo cogliere la loro magia. Da ragazzo facevo lavoretti tipo vendere biglietti di Natale porta a porta e ciò che guadagnavo lo spendevo al cinema. Continuo a andarci, capellino calato in testa per non farmi riconoscere, mi mescolo tra la gente in sala, non ci rinuncerò mai».

Neanche alle scene più spericolate, come quelle di volo di questo sequel di uno dei film più iconici degli anni Ottanta, diretto da Joseph Kosinski con Jennifer Connelly, Miles, Teller, Jon Hamm e anche Val Kilmer (Iceman) in un toccante cameo, nonostante il tumore alla gola che gli bloccato la voce (da noi dal 25 maggio con Eagles Pictures). Ha preparato lui il programma di training dei giovani attori, a cominciare da Teller, che nel film è il figlio di Goose, l’amico morto durante un’esercitazione nel film originale. È persino riuscito, ha raccontato l’attrice, a far passare la paura di volare a Connelly. «A quattro anni avevo un bambolotto paracadutista che lanciavo in aria e atterrava. Ho provato a fare lo stesso lanciandomi dal tetto con il lenzuolo. Mentre cadevo a terra pensavo che mia mamma mi avrebbe ammazzato perché le lenzuola erano sporche. Poi ho voluto imparare tutto quello che mi poteva servire come attore: pilotare aerei e elicotteri, ballare, cantare, guidare un auto da corsa».

Autodidatta e secchione. «Il mio primo film è stato Taps, con George C. Scott, mi hanno presso per un piccolo ruolo, al secondo provino. Subito ho iniziato a fare quello che faccio ancora: parlare con tutti, operatori, truccatori, tecnici delle luci per conoscere ogni aspetto della lavorazione. Non ho frequentato scuole di cinema, la mia scuola sono stati i set, gli insegnanti quelli che ci lavoravano. Imparavo a memoria le locandine di ogni film per conoscere anche ogni ruolo tecnico. Non ho mai avuto paura di non sapere e chiedere a chi sapeva».

Una carriera in cui ha collezionato registi di culto — Coppola, Martin Scorsese, Ridley e Tony Scott, Brina De palma, Oliver Stone, Stanley Kubrick — ma una sola precedente apparizione a Cannes, trent’anni fa per Cuori ribelli di Ron Howard. E ora il festival gli ha affidato una missione si spera non impossibile: riportare il pubblico in sala.

18 maggio 2022 (modifica il 18 maggio 2022 | 20:59)

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