Soldi pubblici (anche per pagare Grillo) e doppio mandato: le regole della polemica nel Movimento 5 Stelle

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di Emanuele BuzziLa regola del doppio mandato è stata voluta per evitare i politici di professione; quella che impediva al Movimento di prendere soldi pubblici è stata invece oggetto di una deroga – e Grillo ha poi firmato con M5S due contratti di consulenza da 300 mila euro Cos’è la regola dei due mandati che crea fibrillazione tra i Cinque Stelle? E quale norma derogata negli scorsi mesi — e relativa a fondi che beneficiano Beppe Grillo — viene rinfacciata al cofondatore del Movimento? Partiamo da quest’ultima: è la regola che prevede che il Movimento non utilizzi fondi pubblici. «Il finanziamento pubblico è illegittimo se si considera ancora la volontà popolare come base di una democrazia», si leggeva nel 2011 sul blog. E ancora. «Fuori i soldi dalla politica». Nel novembre 2021 però — con il placet di Grillo — i militanti hanno dato l’ok ad aderire al 2 per mille riservato ai partiti. Grillo da garante non ha impedito la mossa: e pochi mesi dopo ha firmato due contratti per un totale di 300mila euro annui come consulente M5S. Ecco perché ora i parlamentari insorgono sui due mandati. La norma sul tetto è una delle regole fondative del Movimento, voluta da Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo proprio per rendere evidente anche nei fatti la concezione originaria degli stellati, ossia quella di «cittadini prestati alla politica» e non politici di professione. La regola prevede che i candidati M5S possano svolgere al massimo due mandati all’interno delle istituzioni, dando di fatto un limite temporale di dieci anni alla loro carriera politica. Il limite, come nel caso di Giovanni Favia, è stato a volte interpretato in modo restrittivo. Favia si candidò alle Comunali a Bologna nel 2008 e alle Regionali l’anno seguente. La norma non è stata inserita nello statuto del Movimento nel 2017 dopo una lunga discussione in fase di stesura del testo, proprio per non vincolare in futuro a gabbie molto rigide i parlamentari candidati nel 2018 (decine al secondo mandato). Per questo motivo è presente solo nel Codice etico M5S: obbliga i candidati «a non presentare la propria candidatura per una carica elettiva, qualora siano già stati esperiti dall’iscritto n. 2 mandati elettivi così come definiti in apposito Regolamento emanato ai sensi dell’art. 9 comma b» dello Statuto. Ma già nel 2019 la norma sui due mandati è tema di discussione. L’allora capo politico Di Maio introduce il «mandato zero», ossia un mandato in più per chi ha svolto il consigliere comunale. Si tratta di una operazione volta a salvaguardare soprattutto Virginia Raggi e Chiara Appendino, che allora erano sindache M5S di Roma e Torino, in modo da poterle ricandidare. Il nuovo statuto contiano non prevede espressamente limiti di mandati: proprio questo passaggio ha dato adito a diverse interpretazioni. In altri partiti come il Pd, che hanno passato il vaglio della commissione parlamentare per gli statuti per accedere al due per mille (come ha fatto recentemente il Movimento), le regole di candidatura sono già fissate rigidamente nel testo. Il non aver imposto esplicitamente una regola potrebbe creare altri grattacapi ai Cinque Stelle. 23 luglio 2022 (modifica il 23 luglio 2022 | 12:25) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-07-23 10:26:00, La regola del doppio mandato è stata voluta per evitare i politici di professione; quella che impediva al Movimento di prendere soldi pubblici è stata invece oggetto di una deroga – e Grillo ha poi firmato con M5S due contratti di consulenza da 300 mila euro, Emanuele Buzzi

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