Salvini: Faccio fatica a capire la scheda di mia figlia. Il pedagogista Corsini: Alle volte le famiglie sono un po disattente

Fanno discutere le parole del ministro Matteo Salvini sulla valutazione degli alunni della primaria.
“Per capire cosa vogliono dire le parole usate nella scheda – ha detto in sintesi Salvini – ci vuole una laurea. Ma allora non sarebbe meglio tornare ai voti con i numeri?”

“Non so come sia andata la faccenda nella scuola del figlio di Salvini – commenta il pedagogista Cristiano Corsini, docente all’università di Roma Tre –  posso solo dire che non sempre le famiglie seguono con attenzione l’evoluzione degli apprendimenti dei figli e non so, magari può succedere che questa distrazione renda incomprensibile una scheda”.
“A me –
prosegue Corsini – risulta che ci sono scuole e docenti che da  mesi hanno comunicato alle famiglie le proprie scelte valutative spiegando sin dall’inizio quali obiettivi avrebbero valutato, chiarendo come avrebbero documentato in itinere i processi di alunne e alunni e fornendo indicazioni su come leggere i diversi livelli assegnati sulla scheda. Credo che le scuole che hanno agito così abbiano chiarito molte perplessità rispetto a questo passaggio fondamentale”.

Quanto al fatto che i voti siano più comprensibili della nuova modalità valutativa, il pedagogista ha molto da ridire:  “Questa modalità valutativa è certamente più chiara rispetto ai voti numerici, dato che ‘intermedio’ su un obiettivo disciplinare, come è facilmente spiegato sulla scheda, significa che in determinate situazioni un bambino riesce a svolgere certe attività e in altre no… mentre un 7 su una disciplina significa solo più di 6 e meno di 8”.
Forse però Salvini intende dire che con il voto si possono fare raffronti in modo più chiaro e lineare: “Certo – risponde Corsini – se le famiglie vogliono sapere quanto “vale” un alunno, magari per confrontarlo con i suoi compagni di classe e stilare classifiche, allora i voti numerici vanno benissimo. Ma se invece vogliono avere informazioni sui progressi nello sviluppo degli apprendimenti, allora i giudizi e i livelli funzionano meglio”.

La conclusione è che “tutto dipende da cosa chiediamo alla scuola, e quello che chiediamo alla scuola dipende dalla società che vogliamo costruire”.

Per parte nostra ci permettiamo di osservare che, forse, chi fa politica dovrebbe pensare a governare il Paese e a rimuovere gli ostacoli che ancora oggi impediscono una piena realizzazione dei principi costituzionali.
Gli strumenti tecnici per raggiungere questi fini dovrebbero essere oggetto del dibattito culturale e scientifico e non certamente delle esternazioni di politici più o meno competenti di questioni tecniche
Dire se i voti sono meglio di altri strumenti sarebbe un po’ come stabilire se una certa tecnica operatoria sia meglio di un’altra: insomma, a ciascuno il suo mestiere.

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