Rizzo in azione tra Lenin e i social: «Io espulso dal Pc? Sarò clemente»

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di Tommaso LabateLa federazione milanese sulla sua pagina Facebook espelle il segretario del partito. Lui: «Una provocazione. Ogni federazione ha le sue password. Dovrei ringraziarli…» «Io sono il segretario del Partito comunista ma, rispetto ai provvedimenti disciplinari, il segretario conta poco. Questo perché c’è una commissione di garanzia che decide… Ecco, di fronte a questi compagni che avevano annunciato la mia espulsione dal partito via Facebook, io proporrò un atto di clemenza». Peccato per quel «Facebook», senza il quale l’eloquio di Marco Rizzo sarebbe sembrato pienamente novecentesco e non datato 5 luglio 2022, ieri l’altro. Che è il giorno successivo all’annuncio, sulla pagina social della federazione milanese del Partito comunista, nientemeno che della sua espulsione. Un annuncio che ha avuto un’eco talmente estesa da risultare sospetta. Come se ci fosse lo zampino di Rizzo stesso, dietro la provocazione. «Macché», risponde lui, «ogni federazione ha le sue password di Facebook. Loro hanno usato la pagina per fare questa provocazione. Dovrei ringraziarli…». Ed eccolo là, Rizzo. Legittimato dal comitato centrale, ringalluzzito da una manovra social che ha avuto l’effetto di ripuntargli i riflettori addosso, il segretario comunista s’è presentato alle manifestazioni dei tassisti e ha arringato la folla. «Voi state combattendo perché le multinazionali non vengano in questo Paeseeee!», ha scandito (replica in coro dei tassisti: «Bravoooooo!»). Allo stesso interrogativo a cui Lenin tentava di dare risposte molto prima di arrivare alla Rivoluzione d’Ottobre — «Che fare?» — Rizzo tenta un approccio nazionalista. «Ma mica sono Lenin, quello era un gigante, io un nano». E comunque, la risposta nazionalista del Partito comunista — visto il flirt politico con no vax, no green pass, no euro, come l’eurodeputata ex Lega Francesca Donato — è agli atti. «Va bene l’internazionalismo. Ma chi erano quelli che dicevano “patria o muerte”? Fidel Castro e Che Guevara, molto prima di me». Torinese, anni 62, «aggiunga figlio di un operaio vero, mica come Bertinotti», Rizzo ha fatto firmare al suo Partito comunista il patto «Uniti per la Costituzione», insieme a soggetti politici come Rivoluzione civile dell’ex pm Ingroia e formazioni come Ancora Italia e Riconquistare l’Italia. Il Partito della Famiglia di Mario Adinolfi non c’è, «lui è un integralista, noi laici». Italexit di Gianluigi Paragone nemmeno, «vuole andare da solo». Sono tutti contro la Nato, l’Ue, l’euro, il green pass, le armi all’Ucraina. «Con quella gente», dice ogni volta che gli chiedono del suo passato, «ho chiuso per proprietà transitiva. Ti sedevi accanto a Bertinotti e spuntava D’Alema. Poi accanto a D’Alema si sedeva Dini. Facevi per andartene ed era tardi, perché stavi già nella stessa compagnia di Mastella». I nemici di oggi? «Letta, il Pd, le braccia politiche delle banche». E ovviamente Draghi, «uomo di quella cosa senz’anima che si chiama finanza». Nei salotti della borghesia capitolina che un tempo sussurrava alla destra post-fascista, dicono che il nome di Rizzo sia gettonato. «Boh, mi apprezzeranno per la lealtà nazionale. Io quando torno a Torino becco gli amici di sempre. Operai, cassintegrati, camionisti, gente così». 7 luglio 2022 (modifica il 7 luglio 2022 | 07:07) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-07-07 06:02:00, La federazione milanese sulla sua pagina Facebook espelle il segretario del partito. Lui: «Una provocazione. Ogni federazione ha le sue password. Dovrei ringraziarli…», Tommaso Labate

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