Riccardo Chailly: «Mio padre le ha provate tutte per non farmi fare il direttore»

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di Gian Luca Bauzano

Il direttore musicale della Scala e dell’Orchestra del Festival di Lucerna che inaugurerà il 12 agosto 2022 si racconta: da quando ragazzo ascoltava i Beatles e il Blues, al rapporto conflittuale col padre al legame con la moglie Gabriella. La malattia al cuore che anni fa gli ha cambiato l’approccio alla vita

Un fragoroso colpo di piatti. Riccardo Chailly bimbo sussulta, seduto nell’ultima fila dell’Auditorium del Foro Italico in Roma. Il suono lo travolge. Alla fine della prova della Prima sinfonia di Mahler, Riccardo sa che la musica sarà la sua vita. Qualche giorno dopo lo dice al padre, il compositore Luciano Chailly che lo aveva portato con sé in teatro. Cerca di dissuadere il figlio. Riccardo col tempo l’avrà vinta. Chailly oggi è tra i direttori d’orchestra più importanti al mondo. Tra i grandi interpreti mahleriani, di Verdi e Puccini. La sua filosofia di vita l’ha distillata proprio da Mahler: il valore del silenzio.

Possibile. Un direttore d’orchestra di fama mondiale che ai riflettori preferisce il silenzio

«Il silenzio è una conquista e la mia è una solitudine costruttiva. Lo tenga presente. In una società così rumorosa il silenzio aiuta a riflettere. Una conquista faticosa, significa opporsi al sistema globale. Mi aiuta a concentrami nello studio. I silenzi sono parte integrante della musica, pensi alle cesure di Mahler. Se le comprendi affronti i grandi capolavori. Gli eventi della vita».

Ha dei luoghi dove «coltiva» questo suo silenzio solitario e costruttivo?

«In Liguria, appena posso. Vi sono stato a giugno prima di andare a Orange la scorsa settimana con gli organici della Scala, e in vista del Festival di Lucerna che inaugurerò il 12 agosto prossimo. L’altra mia meta, i monti svizzeri».

Come li ha scoperti?

«Li ha scovati mia moglie Gabriella. Si godono panorami unici: dalla nostra casa in pietra si vede il Golfo del Tigullio, mentre le vette dell’Engadina circondano il nostro chalet».

Solo silenzio e studio? Niente altro?

«Se non sono concentrato su una partitura sono diventato bravissimo a godere del far nulla».

Quindi solo partiture? Altri ascolti, no?

«Ho sempre cercato di conoscere il più possibile. Da ragazzo amavo i Beatles e il blues americano. Ma anche figure come Paolo Conte e Gaber».

Ma la nomea di grande sportivo, a volte spericolato? Moto, cavallo, sci. Persino paracadute ascensionale trainato da un motoscafo.

«Confermo. E col paracadute superavo i 50 metri di altezza. Sotto, il mare della Costa Azzurra. Sa cosa mi esaltava? Il vento nelle orecchie, immerso nel silenzio. Parentesi chiusa, però».

Dai silenzi ai suoni mitici: della Scala e dell’Orchestra del Festival di Lucerna, direttore musicale in carica di entrambe sino al 2025 e al 2026. La Scala, simbolo d’italianità.

«Lo è sempre stata. Oggi in maniera imprescindibile. Vi ho debuttato nel 1978 con I Masnadieri di Verdi, avevo 25 anni e da cinque ero assistente di Claudio Abbado. Adesso ne ricopro lo stesso ruolo e porto avanti una tradizione. Il suono dell’orchestra scaligera è unico. Le continue incisioni discografiche confermano. Puccini e Verdi i capisaldi. Un successo i concerti scaligeri di cori verdiani nel giugno scorso, incisi live per Decca e proposti anche la scorsa settimana al Festival di Orange. Pubblico entusiasta».

Il melodramma, la voce del Paese.

«La musica operistica italiana è andata oltre il concetto di melodramma. La Scala in tournée rappresenta la voce dell’Italia. Fa conoscere le radici della nostra cultura. Mai dimenticarlo».

A proposito di cori verdiani. Gli stessi del concerto con lo squillo del telefonino durante l’esecuzione alla Scala? Se ne è parlato molto.

«È capitato. Il mio non è stato un gesto di stizza. Ho sospeso l’esecuzione per scrupolo, si era messo a rischio un suono ottimale. Fondamentale per la registrazione in corso. Testimoniava le eccellenze del teatro. Ci sono momenti unici da ricordare e lasciare alle generazioni future».

Sport spericolati

Con il paracadute trainato dal motoscafo superavo i 50 metri di altezza. Che sensazione splendida il vento nelle orecchie mentre sei immerso nel silenzio

Dal podio prontezza di spirito, ironia…

«Quella sera ho voluto sdrammatizzare. Ma se non si ha il totale controllo dei nervi, meglio non salire sul podio. Aiuta nella concentrazione e ti dà la capacità di trasmettere la tua calma interiore all’orchestra che hai davanti».

Quindi, lei è paziente e con gran self control.

«L’esatto contrario. Da sempre lotto con me stesso per l’autocontrollo. I miei musicisti lo sanno. Se ne accorgono dallo sguardo. Si immagini con la mascherina. Parlano forse prima le mie pupille del gesto della bacchetta».

Scala e Lucerna. Prima il Concertgebouw di Amsterdam e il Gewandhaus di Lipsia. Matrimoni artistici solidi. Come si fa?

«Evitando la noia».

Intende quella del pubblico?

«Nel rapporto con le orchestre. Mai annoiare i musicisti con il proprio repertorio. Tener vivo il rapporto. Uno scambio reciproco. Rifuggire il prevedibile. Equivarrebbe a burocrazia».

La figura del direttore d’orchestra spesso è vista un po’ come quella di un dittatore.

«Curioso, la stessa iniziale. Un legame c’è. Dittatore? Forse un po’, ma democratico. Oggi tra i musicisti si è evoluto il rapporto democratico. Se una volta sul podio prevalesse l’aspetto dittatoriale, per il direttore sarebbe un immediato autogol».

Rapporti profondi, quelli con orchestre e teatri. Nella sua vita lo sono stati quelli con suo padre, con Claudio Abbado. E su tutti lo è quello con Gabriella, sua moglie.

«Punto fermo nella mia vita. Imprescindibile. Considero il nostro rapporto un dono. Grazie a lei non mi sono mai sentito solo. Anche nei momenti di quella solitudine artistica legata all’impossibilità di realizzare un progetto».

Qui sotto una foto inedita dagli album privati della famiglia Chailly: un giovanissimo Riccardo Chailly mentre a letto studia una partitura, al suo fianco la moglie Gabriella autrice dello scatto, realizzato con le loro immagini riflesse nello specchio

Quello con suo padre Luciano un rapporto complesso, profondo, anche conflittuale.

«Mio padre temeva facessi il musicista. Ne conosceva le infinite difficoltà. Compositore e direttore artistico di numerosi enti lirici compresa la Scala. Voleva evitarmi delusioni avute da tanti. Un continuo mettermi alla prova. Ho poi trovato la mia strada, il mio percorso di crescita. A mio padre è legato il mio primo ricordo musicale. Avevo pochi mesi. Di notte lo ascoltavo suonare. Componeva al pianoforte. Le melodie, benché il suo fosse un linguaggio contemporaneo non facile, attraversavano le pareti fino alla mia stanza».

Il self control

Io mite e paziente? Sono l’esatto contrario: da sempre lotto con me stesso per l’autocontrollo. I miei musicisti lo sanno bene… ogni direttore è anche un po’ dittatore

Tra i lavori di suo padre la Missa Papae Pauli, scritta nel 1964 e dedicata a Paolo VI

«Ero adolescente quando con mia mamma e le mie sorelle accompagnammo papà in Vaticano per essere ricevuti da Paolo VI. Un ricordo potente. Figura carica di magnetismo. La Missa un lavoro a cui mio padre teneva molto. L’ho diretta varie volte anche in Duomo con la Scala».

Partitura profonda. Come le Passioni di Bach. Un confronto con la spiritualità. Lei è credente? Quale significato ha la fede per lei?

«La fede? Un atto di fiducia individuale. Dio è dentro di noi. Durante la pandemia mi ha toccato profondamente vedere papa Francesco solo, davanti a lui piazza San Pietro deserta. Un atto forte, simbolico. Se sono credente? Mi definisco un credente in ricerca. Le esperienze personali mi hanno aiutato nella ricerca in me stesso».

In quali occasioni?

«Diversi anni fa ho avuto un problema al cuore, subito risolto benché ricoverato d’urgenza. Da allora sono cambiato. Ho reagito immediatamente. Non volevo essere vittima di una situazione fuori dal mio controllo».

Come lo può essere la morte…

«La musica mi ha sempre dato forza. La fiducia nel futuro. La sofferenza quando tocca l’uomo sul vivo lo costringe a riflettere. I miei problemi di salute mi hanno fatto capire l’importanza di saper scegliere i punti fermi della propria vita. I valori fondamentali della nostra quotidianità. Nulla è eterno. Una lezione che ci offre la natura. Impararla significa sapersi amministrare al meglio. Facendo fruttare ciò che ognuno di noi ha ricevuto. Una consapevolezza che mi aveva aiutato a superare la morte di mio padre».

Sono i 20 anni della sua scomparsa

«Si è spento la Vigilia di Natale. Ero ad Amsterdam e non al suo fianco. Il giorno dopo dovevo dirigere in diretta il Concerto di Natale del Concertgebouw. L’ho affrontato. Poi mi sono chiuso in me stesso. A riflettere su vita, dolore, vuoto, perdita. La musica mi ha fatto reagire. Come poi mi è accaduto affrontando la malattia».

Claudio Abbado, un mentore, poi un amico

«Affetto e riconoscenza mi legano a Claudio. Lezioni di vita, gli anni passati con lui. Disponibile nei confronti di tutti. Il suo camerino sempre aperto. Pronto a dare consigli. L’esatto contrario della nostra società. Si vive come chiusi in spazi che non comunicano. Autonomi. Claudio invece condivideva cultura ed entusiasmo».

Ne è stato per anni l’assistente.

«La mia una presenza quasi ossessiva per lui, sin da quando mi ha chiamato nel 1973. Sempre paziente e generoso. Uomo e artista eccezionale, schivo e riservato. Parlava solo attraverso la musica. E con le sue scelte. La mia stessa linea di pensiero e comportamento.

La Filarmonica, «creatura» abbadiana.

«Sono stato orgoglioso a giugno di dirigere in piazza Duomo il concertone all’aperto della Filarmonica scaligera. Doppio anniversario e doppio traguardo: 40 anni dalla nascita della Filarmonica, voluta da Abbado sfidando preconcetti e provincialismi, della quale oggi sono direttore principale, e 10 anni dal primo concerto all’aperto, oggi simbolo della Milano contemporanea».

Le scelte. Come Abbado nel 1979, il 7 dicembre lei dirigerà Boris di Musorgskij inaugurando la Scala. Un’opera russa oggi. Qualcuno avrebbe preferito un silenzio diplomatico

«Opportuno? Boris è in programma da tre anni. Perché il silenzio, allora? Cosa si sarebbe detto se l’avessimo cancellato? Un danno per la cultura. La situazione internazionale è complessa. Le certezze nel futuro crollate. Destabilizzati i rapporti tra nazioni. Sovrapporre l’immagine politica alla conoscenza della grande cultura è impensabile. L’arte può solo creare conoscenza. Il silenzio è per riflettere, la musica per vivere».

27 luglio 2022 (modifica il 27 luglio 2022 | 00:24)

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, 2022-07-26 23:05:00, Il direttore musicale della Scala e dell’Orchestra del Festival di Lucerna che inaugurerà il 12 agosto 2022 si racconta: da quando ragazzo ascoltava i Beatles e il Blues, al rapporto conflittuale col padre al legame con la moglie Gabriella. La malattia al cuore che anni fa gli ha cambiato l’approccio alla vita, Gian Luca Bauzano

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