Lo zar annette 4 regioni ucraine. Cosa sono  i referendum e cosa succederà adesso?

di Lorenzo Cremonesi

L’annessione dei territori occupati serve alla Russia per rilanciare la minaccia della guerra nucleare. E oggi al Cremlino Putin terrà un discorso «importante»

LOTSKINO (Regione di Kherson, Ucraina meridionale)
DAL NOSTRO INVIATO — Cosa comporta l’annessione russa delle quattro regioni ucraine parzialmente occupate negli ultimi oltre sette mesi di guerra? L’annessione formale di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson nelle intenzioni del Cremlino mira a rendere irreversibili le conquiste territoriali derivate dall’aggressione militare lanciata per volere di Vladimir Putin il 24 febbraio scorso. Di queste regioni, soltanto una parte di Donetsk e Lugansk erano già state occupate nel 2014 e vi erano nate due amministrazioni vassalle di Mosca. Le altre adesso vengono gradualmente liberate dagli ucraini e proprio per questo la finzione del referendum (sostanzialmente rifiutato da larga parte della comunità internazionale) serve in effetti a cercare di arginare le sconfitte militari russe.

Oggi alle 15 (le 14 in Italia) al Cremlino Putin ha partecipato alla cerimonia di firma dei trattati di adesione alla Russia: durante l’evento, che si è svolto nella sontuosa sala San Giorgio, lo zar ha spiegato che «ora ci sono quattro nuove regioni e i loro abitanti diventeranno per sempre cittadini russi. Difenderemo la nostra terra con tutti i mezzi a disposizione».

La mossa dell’annessione e la fretta che l’ha caratterizzato rivelano le grandi paure di Putin, che adesso di fatto imprigiona la popolazione, limita i suoi spostamenti, costringe i «nuovi cittadini» ad arruolarsi nell’esercito nazionale russo per combattere contro il loro stesso Paese d’origine, si arroga il diritto di allargare le leggi eccezionali dello stato di guerra a tutte le nuove zone annesse.

Le conseguenze dell’annessione? Potrebbero essere molto gravi: l’annessione serve al Cremlino per «russificare» i territori occupati che gli restano in mano e dunque per rilanciare la minaccia della guerra nucleare contro la Nato e chiunque aiuti militarmente l’esercito ucraino. Lo stesso Putin ha più volte ricordato che, sin dai tempi della Guerra Fredda, l’Urss teorizzava la possibilità del ricorso all’atomica in caso venisse minacciato il «territorio nazionale». Oggi, agli occhi di Mosca, il referendum e quindi l’annessione trasformano le terre ucraine «liberate» in regioni russe e dunque da difendere con ogni mezzo, compreso quello nucleare.

Cosa significa questo passo e la pletora di cerimonie formali che lo stanno accompagnando? Nelle intenzioni originarie del Cremlino avrebbe dovuto rappresentare la copertura legale destinata a rendere legittima l’invasione militare e quindi l’annessione delle regioni ucraine occupate. Il referendum era inteso da Putin come la fase culminante, e a tutti gli effetti l’apoteosi vittoriosa, dell’«operazione speciale», che in questo modo avrebbe incarnato la volontà popolare di tornare alla «madre Russia», liberandosi finalmente dalla morsa della «giunta neonazista» imperante a Kiev. In realtà, l’annuncio del referendum, specie per il tempismo e le modalità con cui è avvenuto, non fa altro che mettere a nudo il gravissimo fallimento dell’intera campagna militare lanciata da Mosca.

Voleva essere un momento di vittoria, si rivela invece la cartina al tornasole della sconfitta e persino un gesto disperato, che serve unicamente a mettere in luce l’incapacità russa di trovare risposte militari e politiche all’ormai evidente superiorità ucraina solidamente sostenuta dalle armi fornite dagli alleati occidentali, con gli Stati Uniti in testa.

Come ci si è arrivati? Il progetto di referendum era stato avanzato sin dai tempi della presa totale di Mariupol da parte delle truppe russe a metà maggio. Faceva da modello quello tenuto in Crimea il 16 marzo del 2014, che peraltro era stato subito condannato come “illegale” da larga parte della comunità internazionale e con enfasi particolare da Stati Uniti ed Unione Europea. Allora, come del resto oggi, le democrazie occidentali avevano criticato i trasferimenti forzati di parte della popolazione locale e la presenza di militari russi al momento del voto. Nel 2014 il 97 per cento dei suffragi erano stati favorevoli all’annessione della penisola alla Russia, ma era mancata la supervisione di osservatori imparziali e il dato non ha mai goduto di credibilità in sede Onu.

Cosa non ha funzionato ora nel disegno di Putin? Le capacità di resistenza ucraine hanno sconvolto i piani dell’invasione sin dall’inizio: dopo la ritirata dalla regione di Kiev a fine marzo, i comandi russi hanno compreso già in luglio che anche nel Donbass e nella regione di Kherson la situazione diventava difficile. In un primo tempo si voleva il referendum solo a Kherson, l’unica provincia catturata a ovest del Dnepr. Il voto avrebbe dovuto tenersi ai primi di agosto, poi era stato rinviato all’11 settembre. Gli ucraini avevano risposto intensificando l’offensiva miliare e soprattutto rinfocolando la guerriglia partigiana, che ha metodicamente assassinato i leader locali “collaborazionisti” e attaccato i centri elettorali tra Kherson, Melitopol e le zone di Zaporizhzhia occupate. I successi poi dell’offensiva ucraina tra Kharkiv e Izyum avevano suggerito di rinviare il voto all’11 novembre: una palese ammissione di sconfitta da parte russa.

29 settembre 2022 (modifica il 30 settembre 2022 | 14:51)

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, 2022-09-30 13:17:00, L’annessione dei territori occupati serve alla Russia per rilanciare la minaccia della guerra nucleare. E oggi al Cremlino Putin terrà un discorso «importante», Lorenzo Cremonesi

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