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Quando Umberto frequentava  le lezioni di Norberto

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MERCOLEDÌ 23 MARZO 2022

risponde Aldo Cazzullo

Caro Aldo,

nell’intervista a Giampiero Mughini lei definisce Umberto Eco il più importante intellettuale italiano del dopoguerra. E Norberto Bobbio, dove lo mettiamo?

Daniele Borletti, Genova

Caro Daniele,

I due nomi che lei fa sono complementari. Appartengono a generazioni diverse e hanno studiato campi diversi, ma hanno condiviso lo stesso humus. Si incontrarono nella fervida Torino degli anni 50 («Torino dura e viva» è il titolo del capitolo del Provinciale in cui Giorgio Bocca racconta quel decennio). Il giovane Eco, arrivato da Alessandria, seguì i corsi del professor Bobbio all’università, la cui sede era allora a Palazzo Campana, a due passi dai portici di via Po. Umberto frequentava allora l’Azione Cattolica, e poi sarebbe entrato nella neonata Rai con i suoi amici Furio Colombo e Gianni Vattimo (e si legò a Enza Sampò, che prima era fidanzata con un giovane giornalista siciliano, Emilio Fede). Frequentava quell’ambiente anche un promettente ragazzo di Trieste, Claudio Magris. Bobbio divenne l’editorialista principe della Stampa, il cui editore Giovanni Agnelli frequentava la casa sotto i portici di via Sacchi, vicino alla stazione di Porta Nuova. Eco ruppe con il suo maestro Luigi Pareyson, che gli aveva preferito Vattimo come erede, e insegnò prima alla Statale di Milano con Enzo Paci e Antonio Banfi, poi a Bologna, dove fondò la semiologia e il Dams. Entrambi conobbero grande fortuna editoriale, non solo in Italia: prima Eco con Il Nome della Rosa e gli altri romanzi, quasi tutti (cosa che non si fa mai notare) ambientati in Piemonte; poi Bobbio con il suo Destra e sinistra, pubblicato da Donzelli, che nel paesaggio della scienza politica sconvolto dal crollo del Muro risistemò alcuni fondamentali (a chi sostiene che destra e sinistra non esistono più, ricordo che Obama non fu Bush e Biden non è Trump; libero poi ognuno di scegliere). Nonostante il successo, sia Bobbio sia Eco — come Vittorio Foa e Franco Cardini, per citare un intellettuale di sinistra e uno di destra — restarono sino all’ultimo aperti al confronto con studenti, lettori, giornalisti, nonché disponibili a mansioni anche noiose tipo la rilettura delle bozze dei libri: a conferma del fatto che i veri grandi sono sempre persone accessibili, mentre quelli che se la tirano non valgono niente.

LE ALTRE LETTERE DI OGGI

Storia

«Papà salvò gli ebrei di Aprica, lo rivelò il Corriere»

«Non era ancora buio quando gli ebrei andarono via. Si riunirono davanti al municipio di Aprica, in una lunga fila, con tante donne e bambini. Ero io lì. Mi salutarono prima di salire sulla corriera, senza dire una parola. Prima di allontanarsi, i fuggiaschi mi consegnarono un regalo, una grossa pentola, di quelle che utilizzavano in mensa: un gesto che non ho mai dimenticato». Tutto è cominciato con questo racconto al Corriere nel dicembre 2001 che ha portato alla luce, per la prima volta, la vicenda di mio padre Bruno Pilat, comandante della stazione dei carabinieri di Aprica. Nel 1943 egli fece in modo che gli ebrei confinati (circa 218), di cui era responsabile, potessero rifugiarsi in Svizzera. Nel 2009, a tre anni dalla sua morte, cominciai ad indagare, partendo da documenti trovati in casa, sollecitata da una persona che si diceva emissario del Vaticano, che l’aveva saputo dal capitano della finanza Chieco. L’articolo l’aveva letto anche il carabiniere Vanni Farinelli che stava scrivendo sulla presenza dell’Arma in Valtellina: mi mise in contatto con Alan Poletti che a sua volta mi presentò Miro Vilcek, testimone e protagonista della vicenda, uno dei salvati. La ricerca, da me raccontata in «Un eroe a sua insaputa», ha fatto sì che a mio padre fosse riconosciuta una medaglia d’argento alla memoria dal Presidente Napolitano, intestata una caserma dei carabinieri a Cison di Valmarino, un parco giochi a Valmareno, suo paese natale, targhe commemorative ad Aprica e Tirano e a Villa di Tirano, e inserito dall’organizzazione Courage Care come esempio di coraggio. Grazie al Corriere.

Bianca Pilat

INVIATECI LE VOSTRE LETTERE

Vi proponiamo di mettere in comune esperienze e riflessioni. Condividere uno spazio in cui discutere senza che sia necessario alzare la voce per essere ascoltati. Continuare ad approfondire le grandi questioni del nostro tempo, e contaminarle con la vita. Raccontare come la storia e la cronaca incidano sulla nostra quotidianità. Ditelo al Corriere.

MARTEDI – IL CURRICULUM

Pubblichiamo la lettera con cui un giovane o un lavoratore già formato presenta le proprie competenze: le lingue straniere, l’innovazione tecnologica, il gusto del lavoro ben fatto, i mestieri d’arte; parlare cinese, inventare un’app, possedere una tecnica, suonare o aggiustare il violino

Invia il CV

MERCOLEDI – L’OFFERTA DI LAVORO

Diamo spazio a un’azienda, di qualsiasi campo, che fatica a trovare personale: interpreti, start-upper, saldatori, liutai. 

Invia l’offerta

GIOVEDI – L’INGIUSTIZIA

Chiediamo di raccontare un’ingiustizia subita: un caso di malasanità, un problema in banca; ma anche un ristorante in cui si è mangiato male, o un ufficio pubblico in cui si è stati trattati peggio. Sarà garantito ovviamente il diritto di replica

Segnala il caso

VENERDI -L’AMORE

Chiediamo di raccontarci una storia d’amore, o di mandare attraverso il Corriere una lettera alla persona che amate. Non la posta del cuore; una finestra aperta sulla vita. 

Racconta la storia

SABATO -L’ADDIO

Vi proponiamo di fissare la memoria di una persona che per voi è stata fondamentale. Una figlia potrà raccontare un padre, un marito la moglie, un allievo il maestro. Ogni sabato scegliamo così il profilo di un italiano che ci ha lasciati. Ma li leggiamo tutti, e tutti ci arricchiranno. 

Invia la lettera

DOMENICA – LA STORIA

Ospitiamo il racconto di un lettore. Una storia vera o di fantasia. 

Invia il racconto

LA FOTO DEL LETTORE

Ogni giorno scegliamo un’immagine che vi ha fatto arrabbiare o vi ha emozionati. La testimonianza del degrado delle nostre città, o della loro bellezza.

Inviateci le vostre foto su Instagram all’account @corriere

, 2022-03-22 23:03:00,

MERCOLEDÌ 23 MARZO 2022

risponde Aldo Cazzullo

Caro Aldo,

nell’intervista a Giampiero Mughini lei definisce Umberto Eco il più importante intellettuale italiano del dopoguerra. E Norberto Bobbio, dove lo mettiamo?

Daniele Borletti, Genova

Caro Daniele,

I due nomi che lei fa sono complementari. Appartengono a generazioni diverse e hanno studiato campi diversi, ma hanno condiviso lo stesso humus. Si incontrarono nella fervida Torino degli anni 50 («Torino dura e viva» è il titolo del capitolo del Provinciale in cui Giorgio Bocca racconta quel decennio). Il giovane Eco, arrivato da Alessandria, seguì i corsi del professor Bobbio all’università, la cui sede era allora a Palazzo Campana, a due passi dai portici di via Po. Umberto frequentava allora l’Azione Cattolica, e poi sarebbe entrato nella neonata Rai con i suoi amici Furio Colombo e Gianni Vattimo (e si legò a Enza Sampò, che prima era fidanzata con un giovane giornalista siciliano, Emilio Fede). Frequentava quell’ambiente anche un promettente ragazzo di Trieste, Claudio Magris. Bobbio divenne l’editorialista principe della Stampa, il cui editore Giovanni Agnelli frequentava la casa sotto i portici di via Sacchi, vicino alla stazione di Porta Nuova. Eco ruppe con il suo maestro Luigi Pareyson, che gli aveva preferito Vattimo come erede, e insegnò prima alla Statale di Milano con Enzo Paci e Antonio Banfi, poi a Bologna, dove fondò la semiologia e il Dams. Entrambi conobbero grande fortuna editoriale, non solo in Italia: prima Eco con Il Nome della Rosa e gli altri romanzi, quasi tutti (cosa che non si fa mai notare) ambientati in Piemonte; poi Bobbio con il suo Destra e sinistra, pubblicato da Donzelli, che nel paesaggio della scienza politica sconvolto dal crollo del Muro risistemò alcuni fondamentali (a chi sostiene che destra e sinistra non esistono più, ricordo che Obama non fu Bush e Biden non è Trump; libero poi ognuno di scegliere). Nonostante il successo, sia Bobbio sia Eco — come Vittorio Foa e Franco Cardini, per citare un intellettuale di sinistra e uno di destra — restarono sino all’ultimo aperti al confronto con studenti, lettori, giornalisti, nonché disponibili a mansioni anche noiose tipo la rilettura delle bozze dei libri: a conferma del fatto che i veri grandi sono sempre persone accessibili, mentre quelli che se la tirano non valgono niente.

LE ALTRE LETTERE DI OGGI

Storia

«Papà salvò gli ebrei di Aprica, lo rivelò il Corriere»

«Non era ancora buio quando gli ebrei andarono via. Si riunirono davanti al municipio di Aprica, in una lunga fila, con tante donne e bambini. Ero io lì. Mi salutarono prima di salire sulla corriera, senza dire una parola. Prima di allontanarsi, i fuggiaschi mi consegnarono un regalo, una grossa pentola, di quelle che utilizzavano in mensa: un gesto che non ho mai dimenticato». Tutto è cominciato con questo racconto al Corriere nel dicembre 2001 che ha portato alla luce, per la prima volta, la vicenda di mio padre Bruno Pilat, comandante della stazione dei carabinieri di Aprica. Nel 1943 egli fece in modo che gli ebrei confinati (circa 218), di cui era responsabile, potessero rifugiarsi in Svizzera. Nel 2009, a tre anni dalla sua morte, cominciai ad indagare, partendo da documenti trovati in casa, sollecitata da una persona che si diceva emissario del Vaticano, che l’aveva saputo dal capitano della finanza Chieco. L’articolo l’aveva letto anche il carabiniere Vanni Farinelli che stava scrivendo sulla presenza dell’Arma in Valtellina: mi mise in contatto con Alan Poletti che a sua volta mi presentò Miro Vilcek, testimone e protagonista della vicenda, uno dei salvati. La ricerca, da me raccontata in «Un eroe a sua insaputa», ha fatto sì che a mio padre fosse riconosciuta una medaglia d’argento alla memoria dal Presidente Napolitano, intestata una caserma dei carabinieri a Cison di Valmarino, un parco giochi a Valmareno, suo paese natale, targhe commemorative ad Aprica e Tirano e a Villa di Tirano, e inserito dall’organizzazione Courage Care come esempio di coraggio. Grazie al Corriere.

Bianca Pilat

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Vi proponiamo di mettere in comune esperienze e riflessioni. Condividere uno spazio in cui discutere senza che sia necessario alzare la voce per essere ascoltati. Continuare ad approfondire le grandi questioni del nostro tempo, e contaminarle con la vita. Raccontare come la storia e la cronaca incidano sulla nostra quotidianità. Ditelo al Corriere.

MARTEDI – IL CURRICULUM

Pubblichiamo la lettera con cui un giovane o un lavoratore già formato presenta le proprie competenze: le lingue straniere, l’innovazione tecnologica, il gusto del lavoro ben fatto, i mestieri d’arte; parlare cinese, inventare un’app, possedere una tecnica, suonare o aggiustare il violino

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MERCOLEDI – L’OFFERTA DI LAVORO

Diamo spazio a un’azienda, di qualsiasi campo, che fatica a trovare personale: interpreti, start-upper, saldatori, liutai. 

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Chiediamo di raccontare un’ingiustizia subita: un caso di malasanità, un problema in banca; ma anche un ristorante in cui si è mangiato male, o un ufficio pubblico in cui si è stati trattati peggio. Sarà garantito ovviamente il diritto di replica

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Chiediamo di raccontarci una storia d’amore, o di mandare attraverso il Corriere una lettera alla persona che amate. Non la posta del cuore; una finestra aperta sulla vita. 

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SABATO -L’ADDIO

Vi proponiamo di fissare la memoria di una persona che per voi è stata fondamentale. Una figlia potrà raccontare un padre, un marito la moglie, un allievo il maestro. Ogni sabato scegliamo così il profilo di un italiano che ci ha lasciati. Ma li leggiamo tutti, e tutti ci arricchiranno. 

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Ogni giorno scegliamo un’immagine che vi ha fatto arrabbiare o vi ha emozionati. La testimonianza del degrado delle nostre città, o della loro bellezza.

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, Aldo Cazzullo

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