Prof assente per 20 anni, Giacalone: Ci è voluta la Cassazione per mandarla via. Dove sono i diritti di chi paga le tasse?

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Oggi, 26 giugno, durante la puntata del programma radiofonico “Non Stop News” di Rtl102.5, il giornalista Davide Giacalone è intervenuto sulla notizia del giorno: il caso della docente in servizio a Chioggia destituita per “inettitudine all’insegnamento” dalla Cassazione, che si sarebbe assentata dal lavoro per ben 20 anni su 24.

“A questo punto si possono usare attori professionisti”

Nonostante ci sia ancora molto da comprendere su questa vicenda, i cui risvolti non sono molto chiari, Giacalone è stato categorico: “Non si può non convenire con la docente sul fatto che sia una vicenda surreale. Ci sono due cose da sottolineare: innanzitutto, nella legge del pubblico impiego esiste il licenziamento per scarso rendimento. Ma questo non accade nella realtà. C’è voluta una sentenza della Cassazione per mandarla via. Vi pare normale?”

Secondo il giornalista anche chi paga le tasse dovrebbe essere tutelato: “Andiamo al secondo punto: esistono i diritti dei lavoratori, ma per averli bisogna però andare a lavorare. Il lavoratore che non va a lavorare non è un lavoratore. Esistono anche i diritti del contribuente: per quale motivo devo andare a pagare quello che non fa niente, che non produce niente? Dov’è il mio diritto, alla tutela dei miei soldi che verso? O c’è solo il diritto per una che in vent’anni non fa niente? Ma scherziamo?”.

“Sembra che la prof leggesse semplicemente il libro in classe; a questo punto si possono registrare degli attori professionisti con una voce impostata e accattivante”, questa la battuta finale, una sorta di provocazione, di Davide Giacalone.

Il motivo per cui la docente è stata dispensata dall’insegnamento

La docente, che avrebbe totalizzato addirittura vent’anni di assenza, è stata destituita dall’insegnamento. Il motivo, però, non sono le assenze, ma “l’inettitudine assoluta e permanente all’insegnamento”. Come riporta Il Gazzettino, il problema è sorto quando, nel marzo 2013, la professoressa avrebbe “insegnato” davvero, per un periodo di quattro mesi, uno dei più lunghi della carriera, provocando una sorta di rivolta di studenti genitori.

La docente, infatti, durante le lezioni si sarebbe intrattenuta spesso al cellulare, tra chiamate e messaggi. Le sue spiegazioni consistevano, pare, semplicemente in semplici letture dei libri di testo, che spesso si faceva prestare dagli stessi alunni. La professoressa era solita iniziare un’interrogazione con uno di loro e passando, poi, a parlare di argomenti diversi con un altro. Anche i voti sembravano dati “a casaccio”: per la precisione “in modo estemporaneo ed umorale”, come rilevato nel monitoraggio.

Gli studenti si lamentavano con genitori e altri docenti di questo andazzo, i genitori avevano informato il dirigente scolastico e quest’ultimo aveva segnalato la situazione al Miur che aveva inviato tre ispettrici a prendere visione della situazione e, sulla base del loro rapporto, aveva “dispensato” la docente dall’insegnamento, nel 2017.

Lei fece ricorso al Tribunale del lavoro di Venezia, rivendicando, tra le altre cose, la “libertà di insegnamento”. Il tribunale, nel 2018, le diede ragione, sostenendo che l’attività ispettiva di tre giorni, su quel breve periodo lavorativo, non bastava a configurare una inettitudine assoluta e permanente. Insomma, per la professoressa poteva essere semplicemente un periodo “storto”. Ma, nel 2021, la Corte d’appello ribaltò la sentenza di primo grado e, ad aprile, la Cassazione ha confermato la sentenza di appello, condannando la professoressa a restituire gli stipendi, per i mesi non lavorati, incassati dopo il giudizio di primo grado, nonché tutte le spese processuali. L’argomentazione di fondo della Cassazione è che “la libertà di insegnamento in ambito scolastico è intesa come autonomia didattica diretta e funzionale a una piena formazione della personalità degli alunni, titolari di un vero e proprio diritto allo studio”.

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