Processo Eternit bis a Torino: la chiavetta Usb è vuota,  salta la sentenza

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di Simona Lorenzetti

Conteneva «il 90% degli atti». I giudici: «Mortificati». L’imputato è l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, il suo legale: «Se emergesse che i documenti non sono mai stati caricati, procedimenti nulli»

La chiavetta Usb sulla quale è custodito «il 90% degli atti» del processo Eternit bis è inservibile e la Corte d’Appello di Torino è costretta a un rinvio. Il colpo di scena si è verificato oggi, giovedì 14 luglio, nel giorno in cui era in programma la sentenza. «Siamo mortificate — hanno spiegato i giudici della terza sezione d’Appello, presieduta da Flavia Nasi — ma quando siamo andate a cercare un certo passaggio di una consulenza tecnica non abbiamo trovato nulla. È come se la chiavetta fosse vuota o danneggiata».

L’imputato è l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, per il quale il pg Carlo Maria Pellicano aveva chiesto la conferma della condanna a 4 anni. Il magnate è accusato di omicidio colposo plurimo aggravato dalla previsione dell’evento per aver causato la morte per mesotelioma pleurico e asbestosi di una cittadina di Cavagnolo, in provincia di Torino, e di un lavoratore dello stabilimento Eternit che aveva sede in quel comune. In primo grado il Tribunale aveva anche condannato l’imputato al risarcimento in favore delle famiglie da liquidarsi in separato giudizio civile. Erano state stabilite pure delle somme a titolo di provvisionale in favore degli enti costituiti parte civile, tra cui l’associazione Afeva e le organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil.

La Corte ha chiesto al procuratore Pellicano di recuperare il materiale e il magistrato ha spiegato che si rivolgerà al collega che sostenne l’accusa in primo grado, il quale sta utilizzando gran parte degli stessi atti nell’analogo processo in corso a Vercelli e che riguarda le vittime di Casale Monferrato. La causa è stata rinviata alla fine di settembre per quella che tecnicamente è stata definita «ricostruzione di atti mancanti». La Corte concederà poi alle difese un ulteriore «termine» di 15 giorni.

Insomma, se la questione tecnica sembra facilmente risolvibile potrebbe restare in sospeso un aspetto processuale. A sollevare i dubbi è l’avvocato del magnate svizzero, Astolfo Di Amato: «Sono rimasto notevolmente sorpreso. Adesso, però, si tratta di capire se la chiavetta si sia danneggiata o se gli atti non siano mai stati caricati e quindi depositati». Il punto è che i documenti in questione, in gran parte consulenze tecniche, sono quelli alla base della sentenza di primo grado. «Se emergesse che non sono mai stati caricati, entrambi i procedimenti sarebbero nulli — sottolinea il legale —. Valuteremo se chiedere una perizia alla prossima udienza».

Una posizione che stupisce gli avvocati Ezio Bonanni e Andrea Merlino Ferrero, che assistono i familiari di una vittima e l’Osservatorio nazionale amianto. «Per noi è un mero problema tecnico — spiega Ferrero —. Pur rispettando le tesi dei colleghi, penso sia quanto meno strumentale ipotizzare un mancato deposito di atti processuali».

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14 luglio 2022 (modifica il 14 luglio 2022 | 19:51)

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, 2022-07-14 17:52:00, Conteneva «il 90% degli atti». I giudici: «Mortificati». L’imputato è l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, il suo legale: «Se emergesse che i documenti non sono mai stati caricati, procedimenti nulli», Simona Lorenzetti

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