Prima Conte dà l’ok alla fiducia, 40 minuti dopo fa dietrofront: la giornata da luna park dell’ex premier barricadero

di Tommaso Labate

Il capo del Movimento 5 stelle aveva trovato un accordo con Letta e Speranza: sì alla fiducia, ma ritirando i ministri dal governo

«Allora rimaniamo così, io farò di tutto coi miei per arrivare a questo punto. Noi votiamo la fiducia a Draghi ma ritiriamo i ministri dal governo. Tanto per evitare equivoci: diciamo sì alla fiducia ma il nostro, da stasera, diventa un appoggio esterno». Dire dell’incredibile Luna park che è stata la giornata di Giuseppe Conte, lo starter che ha premuto il grilletto di una crisi di governo che ha preso pieghe imprevedibili, vuol dire raccontare cinque o sei personaggi a cui l’ex presidente del Consiglio ha prestato corpo e voce durante la giornata più lunga di una legislatura morente. Il barricadero neo-leader dell’opposizione ma anche il placido cucitore di una tela governista, l’avvocato azzeccagarbugli che scandaglia le norme del regolamento del Senato ma anche il giudice severo che ripete «faccio come dico io», il totus politicus che elabora trame ma anche il capopopolo che le disfa. Tutto spalmato in quindici-sedici riunioni che si susseguono una dopo l’altra; tutto in una stessa persona.

A metà pomeriggio, si materializza la versione più governista del Conte degli ultimi mesi. L’ex presidente del Consiglio ha parlato a più riprese con Dario Franceschini e Francesco D’Incà, poi è arrivato il momento di ricevere nella stanza del Senato dove trascorre l’intera giornata — quella in uso alla capogruppo Mariolina Castelloni — gli altri due leader del vecchio campo largo, Enrico Letta e Roberto Speranza. «Allora siamo d’accordo?», ripetono quasi all’unisono i segretari di Pd e Articolo 1, tentando di pescare l’unico jolly che può salvare il salvabile. «Siamo d’accordo, io ci provo», replica il capo politico del M5S. «Fiducia sì, ma subito dopo i nostri escono dal governo e il mio diventa un appoggio esterno».

Il miraggio dura una quarantina di minuti. Letta e Speranza, insieme a D’Incà e Franceschini, hanno giusto il tempo di recapitare il ramoscello d’ulivo contiano a Draghi e al Quirinale. Poi tutto torna indietro come le navi di Ulisse respinte dal vento proprio quando erano pronte ad attraccare a Itaca. Conte li chiama al telefono. E urla: «Ma l’avete sentito quello che ha detto Draghi nella replica? Io dovrei chiedere ai miei di votare la fiducia a una persona del genere? Qui non si tratta della mia dignità personale, quella non dipende certo da Draghi e comunque me ne fregherei. Qua si tratta di chiedere ai senatori del M5S di votare la fiducia a uno che ha appena calpestato la dignità politica di tutto il Movimento!».

Nella stanza della Castelloni l’aria condizionata va e viene. Conte si toglie e si rimette la giacca cento volte, allenta la cravatta e poi la ricompone, la celeberrima pochette si trasforma in una specie di fazzoletto ai limiti dell’inservibile. Nelle riunioni che si susseguono una dopo l’altra — i vice, i capigruppo, la delegazione dei ministri — il capo politico fa la colomba coi falchi e il falco con le colombe. Stefano Buffagni, che entra ed esce dalla stanza alla ricerca di un’interlocuzione qualsiasi che possa salvare il salvabile, si attacca al telefono: «Che vi avevo detto? Ve l’avevo detto o no che se iniziava una crisi così al buio, poi finiva male? Io vivo in mezzo a gente che si spacca la schiena. Gli italiani ci impalano tutti, dal primo all’ultimo politico. E fanno bene».

Quando Draghi finisce di leggere la sua replica, gli spazi di manovra si annullano del tutto. Il centrodestra ha virtualmente staccato la spina. C’è l’ultimo filo di un gomitolo di trattativa che passa dalla scrivania di Conte. E Conte decide di farlo in mille pezzi. «Draghi ci ha insultato. Ha insultato le proposte politiche del Movimento. Ma non si è limitato a insultarci. L’ha fatto con livore». Attorno a lui, c’è gente con le mani nei capelli. «Ohi, be’? Che vi aspettavate?», dice il capo politico quando l’assemblea permanente sta per sciogliersi, forse per sempre. «Non si tratta di me. Io mi porto appresso la responsabilità di un intero movimento». Qualche ora dopo s’è fatta sera, l’aria condizionata viene abbassata, le finestre aperte. Conte, dopo una giornata di risposte, passa alle domande. Dall’ultima riunione con la cerchia ristretta: «Ma secondo voi Mattarella che cosa fa adesso?». Sipario.

21 luglio 2022 (modifica il 21 luglio 2022 | 07:27)

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, 2022-07-21 05:43:00, Il capo del Movimento 5 stelle aveva trovato un accordo con Letta e Speranza: sì alla fiducia, ma ritirando i ministri dal governo, Tommaso Labate

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