Philippe, l’ex primo ministro: «L’onda populista c’è ancora, lotteremo fino all’ultimo, sono tornato per entusiamo»

di Stefano Montefiori

L’ex primo ministro è tornato sulla scena nazionale per aiutare la campagna del presidente: «Se sarò eletto dopo Macron? Sono popolare ma non basta»

DAL NOSTRO INVIATO ROUEN Riunione pubblica davanti alla cattedrale dipinta da Monet, in Normandia, nella Rouen che ha dato i natali al poeta Corneille nel Seicento e a Edouard Philippe più di recente. L’ex primo ministro di Macron ha lasciato il governo quasi due anni fa, sostituito da Jean Castex, tornando sindaco della vicina Le Havre. Cinquantuno anni, brillante, colto, formato all’Ena come Macron, sempre sul filo tra profondità e ironia, amante dell’Italia («la Sicilia, ma anche Milano, Bologna, Pisa e Lucca»), grande imitatore di Valéry Giscard d’Estaing e dello stesso Castex, Philippe era l’uomo che durante i momenti più duri della pandemia parlava ai cittadini con competenza e umanità, ed era e resta la personalità politica più popolare tra i francesi. Se molti accusano Macron di essere troppo elitario, Philippe può concludere il suo discorso a Rouen inventando versi alessandrini alla maniera di Corneille, e scatenare un’ovazione. Quando mai Macron dovesse uscire di scena, sarà lui a raccoglierne il testimone. Finito l’intervento e il bagno di folla, Edouard Philippe incontra il Corriere prima di ripartire per Le Havre.

Philippe, perché ha deciso di tornare sulla scena nazionale e di fare campagna per il presidente Macron?
«Per coerenza. Perché nei tre anni da primo ministro mi sono battuto per tradurre nella realtà gli impegni presi dal presidente della Repubblica. E per entusiasmo, perché vedo in Emmanuel Macron qualità e una forza che gli altri non hanno».

Quali sono i tre elementi della politica di Macron che lei giudica essenziali per la Francia?
«Prima di tutto il fatto di essere europeista. Secondo, l’impegno per riformare il mercato del lavoro e quindi diminuire la disoccupazione. Terzo, la visione chiara sulla sicurezza, interna ed esterna: più mezzi per le forze dell’ordine, e più mezzi anche per sviluppare la nostra potenza militare. Tutto indica che il mondo nel quale viviamo è pericoloso, e che le scelte che abbiamo compiuto a partire dal 2017 erano necessarie».

Chi ha vinto il duello televisivo di mercoledì sera tra Macron e Marine Le Pen?
«Il dibattito ha permesso di mostrare le differenze tra i due candidati, quindi è stato utile. Tra i due, era Macron quello che mostrava maggiore conoscenza dei dossier, più energia, e anche più voglia».

Ma questa maggiore padronanza, questa competenza così esibita di Macron, non rischia di piacere a chi già lo vota, e di allontanare invece i molti che lo trovano arrogante perché bravo, sì, anche troppo?
«Guardi, può darsi. Io continuo a preferire la padronanza e la preparazione. E sono contento di ritrovare in Macron la stessa energia, competenza e volontà che aveva nel 2017».

I sondaggi indicano un certo vantaggio di Macron su Le Pen, ma inferiore rispetto a quello di cinque anni fa. La partita è ancora aperta?
«Ne sono convinto, sì. L’opinione comune è che Macron sia favorito, in vantaggio, ma chi gioca a tennis sa che non sempre il vantaggio si traduce nella conquista del game. Dobbiamo lottare fino all’ultimo».

Il fatto che Marine Le Pen possa giocarsi fino in fondo la sua partita, e che l’estrema destra legata alla Russia possa davvero entrare all’Eliseo, è per lei il segno di una democrazia vivace che funziona, o al contrario il sintomo di una democrazia malata?
«Lo giudico il segno che in Europa, in Italia, in Francia, nei Paesi Bassi, in Spagna, esiste una corrente populista di collera legata all’estrema destra che prospera, con intensità diverse a seconda dei momenti. Abbiamo ragioni di essere inquieti. Ma anche ragioni per constatare che in Francia almeno, fino a questo momento, il riflesso di difesa della Repubblica è sempre stato più forte».

Dopo la Brexit e l’elezione di Trump, qualcuno ha peccato di ingenuità pensando che l’ondata populista fosse ormai passata?
«Io no, devo dire, non ho mai pensato che fossimo al riparo. L’ondata resta minacciosa, a noi spetta arginarla».

Nel libro che ha scritto con Gilles Boyer, «Impressions et lignes claires», lei lamenta «due dipendenze, due testamenti, due eredità: il deficit ecologico e il deficit finanziario». In questi giorni Macron sta affrontando la questione ecologica, ma non quella del grande debito pubblico post-Covid. È sempre così preoccupato da questo tema? E perché?
«Lo sono non perché io sia ossessionato dalle cifre, ma perché quando non si controlla più il budget non si controlla più il proprio destino. Quel che è certo è che magari non oggi, ma un giorno, avremo un grosso problema. E tutti ci chiederanno, “perché non ve ne siete occupati prima?”».

Che cosa pensa della reazione europea all’invasione russa dell’Ucraina? La Germania sta frenando su nuove sanzioni, c’è da temere una spaccatura nell’Unione?
«Intanto riconosciamo che la Germania ha impresso una svolta enorme alla sua politica, ha fatto scelte impensabili anche solo tre mesi fa, quanto al finanziamento di un Paese in guerra, alle esportazioni militari e alle spese per la Difesa».

Subito dopo l’invasione d’accordo, ma adesso si può essere un po’ delusi dall’atteggiamento di Berlino?
«Dobbiamo essere ancora più duri nelle sanzioni? Le discussioni sono in corso, vedremo. Penso che con i russi si debba essere fermi, e non chiudere mai i canali di discussione. Al di là di Vladimir Putin, la Russia esiste. Oggi prende decisioni contestabili, e diciamolo, scandalose. Ma dopo Putin ci sarà ancora una Russia, un immenso Stato, un’immensa cultura. Non dobbiamo rompere i legami».

Lei ha conosciuto bene Angela Merkel, che cosa pensa delle critiche attuali alla sua politica troppo debole verso la Russia, quando era cancelliera?
«Ho sempre avuto un profondo disaccordo con i dirigenti tedeschi su questo argomento, dal 2007. Le loro scelte energetiche hanno messo la Germania in una situazione di dipendenza nei confronti della Russia. Credo che queste scelte non fossero tutte riconducibili a Merkel, comunque le ho sempre trovate contestabili: l’uscita repentina dal nucleare, il ritorno al carbone… Oggi le criticano in molti, io le trovavo sbagliate già allora. Ma questo non toglie nulla al piacere dei miei incontri con Merkel e al lavoro notevole che ha fatto in tanti settori della politica tedesca».

In queste settimane è riemersa una sua vecchia intervista del 2018, nella quale nello spazio di pochi secondi lei pronostica una pandemia e un’invasione della Russia in Europa. Come se lo spiega?
«Leggo poco la stampa, non guardo la televisione, ascolto poco la radio, ma leggo molti libri, molti saggi e anche molti romanzi. E quando si leggono molti libri si finisce per avere una visione del mondo non priva di interesse. Non sapevo quando e come, ma sapevo di avere pochi rischi di sbagliarmi, sia sulla pandemia sia sulla Russia. Così come oggi penso di non sbagliarmi quando dico che un giorno in Europa avremo un grave problema budgetario».

Perché ha fondato il movimento Horizons?
«Per allargare la maggioranza presidenziale, e avere una strategia a lungo termine per la Francia, ovvero costituire squadre di persone che si conoscono, si apprezzano e sanno lavorare insieme. La mia esperienza mi dice che per dirigere una città o uno Stato bisogna avere persone con le quali condividere una grammatica, un pensiero comune».

I sondaggi la indicano regolarmente, da tempo, come il politico francese più popolare. Tra cinque anni, quando Macron non potrà più ricandidarsi se domenica venisse eletto, come userà questo capitale politico?
«Mettiamola così, non sono il politico francese più popolare, sono quello meno impopolare. Detto questo, la peggior bussola di un politico è la popolarità. Se è quella a orientare le scelte, certe decisioni impopolari ma giuste per il Paese non vengono mai prese. Comunque, oggi la popolarità c’è. Lo so, lo vedo, è piacevole ma non lo reputo un vantaggio considerevole. Credo di più al lavoro, al radicamento e alla conoscenza intima della Francia».

Come si immagina la Francia di Marine Le Pen, se domenica sera dovesse essere lei a entrare all’Eliseo?
«Non so, immaginarla mi pare complicato. So solo che se Marine Le Pen vince, mi presenterò alle elezioni legislative di giugno per condurre in Parlamento una lotta politica, democratica, contro una visione della Francia che non mi piace».

E se invece, come è probabile, sarà Macron a vincere, lei cosa farà?
«Resterò sindaco di Le Havre e presidente di Horizons. Poi vedremo».

22 aprile 2022 (modifica il 22 aprile 2022 | 22:35)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-04-22 21:46:00, L’ex primo ministro è tornato sulla scena nazionale per aiutare la campagna del presidente: «Se sarò eletto dopo Macron? Sono popolare ma non basta», Stefano Montefiori

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Exit mobile version