Il Novecento a occhi aperti. Cento anni di Gina Lagorio

di PAOLO DI STEFANO

Cento anni fa nasceva l’autrice, editrice e critica. Domenica a Milano al Teatro Parenti il centro Apice organizza l’omaggio a questa «scrittrice complessa e molteplice»

Che anno, il 1922. Pier Paolo Pasolini, Beppe Fenoglio, Luigi Meneghello, Giorgio Manganelli, Luciano Bianciardi, Raffaele La Capria. Non solo: Luciano Erba è stato uno dei maggiori poeti del Novecento, per la verità quasi dimenticato dalle celebrazioni. E Gina Lagorio, una delle grandi donne della letteratura,figura complessa e molteplice: scrittrice di romanzi e di teatro, autrice per ragazzi e per la scuola, studiosa (del coetaneo Fenoglio, di Sbarbaro, di Barile e della poesia ligure), critica letteraria (anche per il «Corriere»), editrice a fianco di Livio Garzanti, suo secondo marito, deputata in Parlamento per il gruppo Sinistra indipendente dal 1987 al 1992.

Nella stessa personalità ferma e inconfondibile, generosa e severa, Gina Lagorio conteneva una pluralità di modi.Dire scrittrice, nel suo caso, non è dire una sola cosa, perché c’è la romanziera «pura» de La spiaggia del lupo (1977) o di Tosca dei gatti (1983), c’è la narratrice storica (Tra le mura stellate del 1991), ma c’è anche la memorialista di Approssimato per difetto (1971), che in chiave romanzesca riconduce alla malattia e alla morte del primo marito, Emilio Lagorio, protagonista della resistenza savonese come viene raccontato in una esile e mirabile cronaca, Raccontiamoci com’è andata. A questa vena, diciamo autobiografica, si legano altri libri (in definitiva quasi tutti, se intendiamo autobiografia in senso ampio), ma in special modo lo struggente memoir Càpita, un diario a tratti rabbioso della sua malattia, uscito nell’anno della morte, il 2005. Sempre con gli occhi e con il cuore rivolti da un lato al suo Piemonte (era nata a Bra, Cuneo) e dall’altro alla sua Liguria (terra sentimentale d’adozione non solo letteraria).

Dunque, dopo aver letto i suoi libri, per comprendere al meglio la complessità e la molteplicità di cui si diceva, può risultare molto utile uno sguardo alla notevolissima corrispondenza che nelle sue varie vesti, letteraria editoriale civile,Gina ha intrattenuto per decenni. Le lettere si trovano, con tutti gli altri suoi materiali manoscritti, al Centro Apice di Milano, che ha appena festeggiato i suoi vent’anni di fondazione. Per avere un’idea della sua capacità di relazioni basterà dire che i corrispondenti italiani sono 1.200 e 250 gli stranieri. Si parte dal 1955 e nei cinquant’anni che trascorrono si possono individuare vari nuclei e diversi filoni che rivelano una personalità-crocevia, versatile e curiosa. Perché se ci sono scrittori per i quali l’attività letteraria è un buon motivo per chiudere le finestre al mondo, Gina Lagorio coltiva un interesse (certo primario) per la letteratura spontaneamente aperto alla vita degli altri, e i suoi interlocutori lo sanno.

Non c’è dunque da meravigliarsi se nello scriverle si concedono spesso toni di confidenza.In un elzeviro uscito sul «Corriere» il 20 giugno 1997, a proposito di Giorgio Caproni, Gina Lagorio ricordava che un giorno le arrivò da Ravegno, piccolo comune ligure sul Trebbia, una cartolina con uno scorcio di bosco e d’acqua dominato dalle ruote di un vecchio mulino. Nella sua grafia irregolare e minuta Caproni scriveva: «Un saluto da questo mulino che ormai macina soltanto acqua. (Un mio emblema?)». Ora l’archivio ci dice che quella cartolina fu inviata il 16 agosto 1986. L’anno prima è sempre Caproni a rivolgersi all’amica, ma questa volta all’amica mediatrice dell’editore, per chiederle («a Livio non oso») di leggere le poesie di Ugo Reale: «Mi sembra che — sotto l’apparente tono dimesso, e quasi mortificato — batta vivo un cuore degnissimo d’ascolto. Mi appello alla tua sensibilità di scrittrice, da me tanto amata». Aggiungeva Caproni di stimare molto Reale, il cui solo torto era «di essere sempre vissuto troppo (per eccesso di discrezione) in disparte». E colpisce la delicatezza con cui il vecchio poeta osa avanzare la sua proposta: «Non me ne volere per questa mia intrusione! Sai che non sono uso a scocciar la gente».

Dunque, la confidente e l’editrice. Un peccato non poter leggere sempre le risposte della «cara Gina», ma qualche volta succede. Nel caso di un romanzo del banchiere-scrittore Rodolfo Doni (Un volo di uccelli) promosso da Geno Pampaloni, autorevolissimo critico, disponiamo di una minuta con il giudizio non conciliante di Lagorio: «Il romanzo regge solo a tratti, secondo me, ha zeppe, e indugi che non so quanto possano essere sopportati all’interno di una storia dal taglio così particolare». Passarlo a Garzanti no: «Se lo conosco un po’, lo liquiderebbe in nome dei suoi, carissimi, pregiudizi». Ovvio che Pampaloni resta un suo ammiratore, lettore fedele e intelligente. E qui si apre il terzo ricco filone dell’epistolario: quello relativo ai pareri espressi sui libri di Gina Lagorio.Inutile dire che provengono per lo più da nomi primari: oltre a Pampaloni, ci sono Maria Corti, Cesare Segre, Giuseppe Pontiggia, Cesare Garboli, Luigi Baldacci… E quasi mai sono pareri di circostanza. Baldacci nell’ottobre 1983 le manda una vera recensione in forma epistolare. La Tosca dei gatti, scrive, tocca un argomento «sistematicamente ignorato dalle due culture trionfanti: la cristiana e la marxista»: si tratta del rapporto tra uomo e animale. Sarà una lettera piena di entusiasmo, in cui il critico osserva tra l’altro: «Lei ha la capacità di fare dell’autobiografia lavorando su personaggi diametralmente opposti da Lei».

La riflessione che nasce sfogliando le carte di Gina Lagorio è questa: quante cose si imparerebbero confidenzialmente (dunque più volentieri) se solo si potessero leggere (e cioè si pubblicassero) certi epistolari, dove la cultura, il gusto, la critica, il senso della storia passano per strade non ufficiali,si presentano non in doppiopetto accademico ma in vestaglia se non in pigiama. Qui, per esempio, troviamo un altro filone aureo, che potrebbe (dovrebbe?) essere il primo: quello politico-civile. Il corpus epistolare del grande filologo classico e saggista Sebastiano Timpanaro e quello del maestro dell’italianistica Carlo Dionisotti sono ricchissimi. Servirebbe leggerli, poi studiarli. Ma prima ringraziare Gina.

10 novembre 2022 (modifica il 10 novembre 2022 | 15:42)

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, 2022-11-10 14:48:00, Cento anni fa nasceva l’autrice, editrice e critica. Domenica a Milano al Teatro Parenti il centro Apice organizza l’omaggio a questa «scrittrice complessa e molteplice», PAOLO DI STEFANO

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