Morto Mateschitz, mister Red Bull: il DC6 di Tito e la collezione di aerei

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di Flavio Vanetti

Il fondatore della Red Bull, morto sabato, per presentare la sua Toro Rosso offrì ai giornalisti il viaggio su un aereo d’epoca: la sua collezione da museo e il ristorante stellato nell’hangar

L’email di invito scritta dagli addetti alla comunicazione della Red Bull era generica: «Appuntamento alle 9 all’Ata di Milano Linate. Un aereo verrà a prendervi e vi porterà a Salisburgo per un importante annuncio di Dietrich Mateschitz (scomparso sabato sera)». Correva l’anno 2005, la notizia da svelare a un gruppo selezionato di giornalisti italiani che seguivano la F1 era l’ingresso della Minardi, a quei tempi non più di proprietà di Giancarlo Minardi ma finita nelle mani dell’uomo d’affari australiano Paul Stoddart, nell’orbita del gruppo che nel 2004 era sbarcato nella massima categoria dell’automobilismo dopo aver rilevato la Jaguar.

L’essere portati direttamente a Salisburgo da un velivolo executive, evitando lo scalo che ci sarebbe stato con un volo di linea, inquadrava benissimo la disponibilità di mezzi e la ricchezza del signor Red Bull, il cui patrimonio personale era già stimato nell’ordine dei miliardi di dollari (con solida posizione tra i 250 personaggi più ricchi al mondo). Ma la sorpresa fu enorme quando sul piazzale dell’Ata comparve la sagoma di un Douglas DC6-B, velivolo a pistoni che magicamente ci riportava indietro nel tempo fino all’aviazione degli anni 50 e 60.

Aveva una livrea elegantissima color argento con una ampia fascia bianca interrotta da un motivo a righe orizzontali blu, a sua volta dotato di una breve striscia rossa. Sulla coda campeggiava lo stemma Red Bull, quello con i due tori che lottano davanti al disco del sole. L’interno era straordinario: sedili in pelle, salottino per chiacchierare, rifiniture in radica. Si sapeva della passione di Mateschitz (pilota per diletto) per gli aeroplani — nel giro di un paio di ore l’avremmo compresa meglio —, ma il DC6 sul quale stavamo imbarcandoci era un vero e proprio gioiello, frutto di un meticoloso restauro. Non solo: l’equipaggio, che ancora doveva seguire procedute «old style» per gestire una vecchia signora decisamente delicata, era dedicato espressamente a quel velivolo: rispetto alla strumentazione analogica in uso ai tempi, aveva giusto qualche dotazione in più offerta dalla modernità; ma, di base, andava pilotato, coccolato e seguito come si faceva un tempo.

Durante il volo ci fu spiegata anche la storia dell’aereo, immatricolato con sigle austriache OE-LDM: quel DC6-B era appartenuto al Maresciallo Tito ed era stato il velivolo ufficiale della Jugoslavia. Tito non era stato il primo capo di stato a impiegare quel modello di aereo: l’aveva già fatto il presidente americano Harry Truman. Tito l’aveva tenuto per 17 anni, dal 1958 al 1975. Poi l’aveva venduto al presidente dello Zambia, Kenneth Kaunda. In seguito il velivolo venne abbandonato all’aeroporto di Lusaka e fu comperato da una compagnia aerea della Namibia, che iniziò il restauro. Ma rimase incompleto, quindi nel 2000 il progetto passò nelle mani dei Flying Bulls, la scuderia «alata» di Mateschitz. Venne portato in volo a Salisburgo direttamente dall’Africa, con non poche apprensioni perché se l’aereo era di sicuro «volabile», non c’erano garanzie che non avrebbe vissuto degli intoppi durante la trasferta. Invece andò tutto per il meglio e dopo migliaia di ore di lavoro fu riportato alla gloria di un tempo. Anzi, perfino migliore proprio per gli interni totalmente cambiati e per l’installazione di 4 nuovi motori Pratt & Whitney R2800 «Double Wasp».

Il Milano-Salisburgo (ci sarebbe stato ovviamente anche il ritorno) fu un volo straordinario, con il ronzio dei propulsori a far assaporare i rumori (e la lentezza) dei viaggi del passato. Una volta atterrati a Salisburgo, ecco l’incanto dell’accoglienza all’Hangar 7 e all’Hangar 8. Mateschitz aveva voluto un’opera d’arte architettonica per ospitate la collezione di velivoli storici (una flotta incredibile: tra i vari modelli riportati a nuova vita, un B-25 – il velivolo con cui gli americani bombardarono Tokyo durante la Seconda Guerra Mondiale — , quattro Alpha Jet — l’aereo della Patrouille de France — un P-38 Lighting e molto altro ancora) e per dedicare loro la miglior manutenzione possibile. L’Hangar 7 era così una sorta di museo (con ristorante stellato al suo interno e tempi di attesa di mesi per avere un tavolo), l’Hangar 8 serviva invece per l’attività dei meccanici.

Mateschitz ci illustrò i programmi per la Toro Rosso (non era ancora sicuro del nome, ma si capì che sarebbe stato quello) e parlò anche della crescita che si aspettava sul fronte della Red Bull. Vista la magnificenza dei suoi velivoli, e visto il modo in cui amava gestire le iniziative, nessuno ebbe il dubbio che quei progetti sarebbero andati a buon fine.

23 ottobre 2022 (modifica il 23 ottobre 2022 | 14:49)

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, 2022-10-23 14:55:00, Il fondatore della Red Bull, morto sabato, per presentare la sua Toro Rosso offrì ai giornalisti il viaggio su un aereo d’epoca: la sua collezione da museo e il ristorante stellato nell’hangar, Flavio Vanetti

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