Il Meridione tra dati e pregiudizi

editoriale Mezzogiorno, 23 novembre 2022 – 07:59 di Giuseppe Coco Qualche giorno fa un collega che stimo ha ripostato su social network un titolo di Repubblica sui divari territoriali nell’aspettativa di vita. Il titolo recitava che in Calabria l’aspettativa di vita di una bambina alla nascita era di 15 anni minore che in Trentino. Chiunque abbia un’idea dell’andamento dell’aspettativa di vita in qualunque regione europea sa che non è così, ma si arriva a questo perché la fame di alcune disuguaglianze, che pure ci sono e su cui bisogna riflettere, è ormai parossistica. Cosa davvero ci raccontano i dati? Per dare un quadro vero non serve guardare al rapporto di Save the children, che onestamente potrebbe forse più utilmente concentrarsi sulla concreta assistenza ai poveri, piuttosto che su queste iniziative di pubblicistica, per le quali speriamo almeno che non abbiano speso le risorse dei donatori. Esistono i dati del Rapporto di Benessere Equo e Solidale dell’Istat. L’Italia è uno dei primi Paesi ad aver sviluppato statistiche affidabili comprensive sulle dimensioni sociali del benessere: usiamole direttamente. La speranza di vita alla nascita differisce nel 2021 tra Nord e Mezzogiorno di circa un anno e mezzo (82,9 contro 81,3 anni). Molto più consistenti sono ad esempio le differenze tra maschi e femmine, negli anni passati hanno raggiunto anche i quattro anni, ma questa diseguaglianza non scalda i cuori di nessuno. Per qualche imperscrutabile ragione, l’orribile e ingiustificato destino diseguale dei poveri maschietti, che hanno una vita molto più corta delle loro compagne, non sembra essere una questione degna di nota. Il divario tra Nord e Sud invece ha raggiunto un minimo nel 2020 quando l’aspettativa di vita del Nord è calata significativamente per effetto del Covid. Sì, perché il Covid ha ucciso molto più al Nord che al Sud, e sproporzionatamente più maschi che femmine (circa il doppio, tranne che per la fascia degli ultra 90enni, a quell’età gli uomini non ci arrivano proprio). Anche questo però non sembra interessare, infatti tutti sono convinti che il Covid, come tutto, abbia svantaggiato le donne. Vale la pena anche di ricordare che nell’Unione europea le medie italiane sono straordinariamente buone. L’aspettativa di vita degli italiani ad esempio è seconda in Europa solo a quella degli spagnoli e quella dei meridionali molto maggiore di quella dei greci e sostanzialmente uguale a quella di olandesi e austriaci per compararci con aree geografiche non troppo dissimili, ma molto più ricche. Gran parte della differenza tra Nord e Sud nell’aspettativa di vita è spiegabile con differenze di reddito e di istruzione. Conviene riportare qualche altro dato per fissarci un minimo di parametri ragionevoli nella testa. Le zone più arretrate dell’Unione hanno comunque aspettative di vita sopra 75 anni, ed anche la maggioranza dei Paesi del nord Africa non sono lontani. La gran parte dei Paesi africani invece dopo il 2000 ha superato la soglia dei 60 anni. Di fatto, come spiega Hans Rosling in un volume che pur smentendo molta retorica negativa rimane totalmente ignorato, la maggior parte del terzo mondo ha fatto, nelle principali misure di benessere, passi da gigante negli ultimi decenni, grazie a un po’ di crescita e all’assistenza dei Paesi sviluppati. Ora con la guerra invece potremmo vedere un arretramento, ma in un quadro in complessivo ultra decennale miglioramento. Ma tornando all’Italia. Allora a cosa si riferiva il giornalista che ha titolato «Una bambina nata in Calabria vive 15 anni in meno di una nata in Trentino?». Si riferiva, forse, a un parametro diverso, l’aspettativa di vita in buona salute, basato su dichiarazioni di stato di buona salute dei cittadini stessi. I calabresi in altri termini dichiarano di cominciare ad essere in condizioni di precaria salute quindici anni in media prima dei trentini, anche se la differenza di età alla morte è di pochi anni. Paradossalmente questo lascerebbe pensare che i calabresi si ammalano prima, ma sopravvivono a lungo per l’eccellenza del proprio sistema sanitario. Come si vede il quadro è complesso e talvolta molto diverso dalle idee stereotipate che abbiamo in testa dopo bombardamenti mediatici e campagne che incrementano l’odio territoriale e imbottiscono la testa di idee completamente fuori dalla realtà. La stessa lettura dei dati è talvolta opinabile. Mi ha impressionato però che a rilanciare la notizia sia stato un professore universitario. La retorica dei divari, che ripeto esistono e sono rilevanti, sta accecando la maggior parte degli intellettuali meridionali al punto che non c’è una idea del loro ragionevole ordine di grandezza, ma si enfatizza qualsiasi interpretazione che avvalori l’estremità delle differenze coerenti col pregiudizio giusto. 23 novembre 2022 | 07:59 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-11-23 07:00:00, editoriale Mezzogiorno, 23 novembre 2022 – 07:59 di Giuseppe Coco Qualche giorno fa un collega che stimo ha ripostato su social network un titolo di Repubblica sui divari territoriali nell’aspettativa di vita. Il titolo recitava che in Calabria l’aspettativa di vita di una bambina alla nascita era di 15 anni minore che in Trentino. Chiunque abbia un’idea dell’andamento dell’aspettativa di vita in qualunque regione europea sa che non è così, ma si arriva a questo perché la fame di alcune disuguaglianze, che pure ci sono e su cui bisogna riflettere, è ormai parossistica. Cosa davvero ci raccontano i dati? Per dare un quadro vero non serve guardare al rapporto di Save the children, che onestamente potrebbe forse più utilmente concentrarsi sulla concreta assistenza ai poveri, piuttosto che su queste iniziative di pubblicistica, per le quali speriamo almeno che non abbiano speso le risorse dei donatori. Esistono i dati del Rapporto di Benessere Equo e Solidale dell’Istat. L’Italia è uno dei primi Paesi ad aver sviluppato statistiche affidabili comprensive sulle dimensioni sociali del benessere: usiamole direttamente. La speranza di vita alla nascita differisce nel 2021 tra Nord e Mezzogiorno di circa un anno e mezzo (82,9 contro 81,3 anni). Molto più consistenti sono ad esempio le differenze tra maschi e femmine, negli anni passati hanno raggiunto anche i quattro anni, ma questa diseguaglianza non scalda i cuori di nessuno. Per qualche imperscrutabile ragione, l’orribile e ingiustificato destino diseguale dei poveri maschietti, che hanno una vita molto più corta delle loro compagne, non sembra essere una questione degna di nota. Il divario tra Nord e Sud invece ha raggiunto un minimo nel 2020 quando l’aspettativa di vita del Nord è calata significativamente per effetto del Covid. Sì, perché il Covid ha ucciso molto più al Nord che al Sud, e sproporzionatamente più maschi che femmine (circa il doppio, tranne che per la fascia degli ultra 90enni, a quell’età gli uomini non ci arrivano proprio). Anche questo però non sembra interessare, infatti tutti sono convinti che il Covid, come tutto, abbia svantaggiato le donne. Vale la pena anche di ricordare che nell’Unione europea le medie italiane sono straordinariamente buone. L’aspettativa di vita degli italiani ad esempio è seconda in Europa solo a quella degli spagnoli e quella dei meridionali molto maggiore di quella dei greci e sostanzialmente uguale a quella di olandesi e austriaci per compararci con aree geografiche non troppo dissimili, ma molto più ricche. Gran parte della differenza tra Nord e Sud nell’aspettativa di vita è spiegabile con differenze di reddito e di istruzione. Conviene riportare qualche altro dato per fissarci un minimo di parametri ragionevoli nella testa. Le zone più arretrate dell’Unione hanno comunque aspettative di vita sopra 75 anni, ed anche la maggioranza dei Paesi del nord Africa non sono lontani. La gran parte dei Paesi africani invece dopo il 2000 ha superato la soglia dei 60 anni. Di fatto, come spiega Hans Rosling in un volume che pur smentendo molta retorica negativa rimane totalmente ignorato, la maggior parte del terzo mondo ha fatto, nelle principali misure di benessere, passi da gigante negli ultimi decenni, grazie a un po’ di crescita e all’assistenza dei Paesi sviluppati. Ora con la guerra invece potremmo vedere un arretramento, ma in un quadro in complessivo ultra decennale miglioramento. Ma tornando all’Italia. Allora a cosa si riferiva il giornalista che ha titolato «Una bambina nata in Calabria vive 15 anni in meno di una nata in Trentino?». Si riferiva, forse, a un parametro diverso, l’aspettativa di vita in buona salute, basato su dichiarazioni di stato di buona salute dei cittadini stessi. I calabresi in altri termini dichiarano di cominciare ad essere in condizioni di precaria salute quindici anni in media prima dei trentini, anche se la differenza di età alla morte è di pochi anni. Paradossalmente questo lascerebbe pensare che i calabresi si ammalano prima, ma sopravvivono a lungo per l’eccellenza del proprio sistema sanitario. Come si vede il quadro è complesso e talvolta molto diverso dalle idee stereotipate che abbiamo in testa dopo bombardamenti mediatici e campagne che incrementano l’odio territoriale e imbottiscono la testa di idee completamente fuori dalla realtà. La stessa lettura dei dati è talvolta opinabile. Mi ha impressionato però che a rilanciare la notizia sia stato un professore universitario. La retorica dei divari, che ripeto esistono e sono rilevanti, sta accecando la maggior parte degli intellettuali meridionali al punto che non c’è una idea del loro ragionevole ordine di grandezza, ma si enfatizza qualsiasi interpretazione che avvalori l’estremità delle differenze coerenti col pregiudizio giusto. 23 novembre 2022 | 07:59 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,

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