Mateschitz morto, il fondatore della Red Bull aveva 78 anni

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di Daniele Sparisci

Era il re delle bevande energetiche, ha fondato un impero da oltre 23mila dipendenti. Aveva scovato la bevanda con cui ha fatto fortuna in Thailandia, in un bar di Bangkok

È morto Dietrich Mateschitz, il patron della Red Bull. La notizia è arrivata nel fine settimana del Gp degli Usa ad Austin, la Formula 1 è in lutto. Lo piange Christian Horner, il team principal dell scuderia campione del mondo davanti a tutti gli uomini blu. «Era sempre entusiasta ed era il motivo per cui siamo qui. Dietrich ha dimostrato che nulla è impossibile. Era incredibile. Gli renderemo onore come merita». Lo piangono tutti in Formula 1 e non solo.

Mateschitz, un uomo che ha lasciato il segno in qualunque impresa si sia avventurato, capace di cambiare lo sport con investimenti senza precedenti e forme totalmente nuove di sponsorizzazione: dalla Formula 1, al calcio, allo sci, alla MotoGp, allo sci, alle discipline estreme, ai tuffi. Aveva 78 anni, da tempo era malato e le sue condizioni nelle ultime settimane si erano aggravate.

Era il re delle bevande energetiche, ha fondato un impero da oltre 23 mila dipendenti vendendo più di 10 miliardi di lattine nel mondo soltanto l’anno scorso, la prima è stata commercializzata, il 1° aprile del 1987 in Austria, nella sua terra a cui era legatissimo. Veniva da un minuscolo comune della Stiria, Sankt Marein im Mürztal, vicino a dove sorge il circuito di F1 dello Spielberg, che lui ha acquistato per trasformarlo in un gioiello architettonico. In pochissimi avevano il privilegio di chiamarlo con il soprannome, «Didi», fra questi Helmut Marko, amico e braccio destro nelle corse.

Sembrava una barzelletta debuttare il primo aprile per sfidare i giganti del «beverage» con quell’energy drink a base di taurina, dallo strano sapore, che per molti anni è stato molto più famoso nei rave party che nei supermercati. Mateschitz lo aveva scovato in Thailandia, in un bar di Bangkok, nei primi anni ottanta. Si chiamava Krating Daeng, aveva scoperto che era efficace per combattere il jet lag. O almeno questo è uno dei due-tre racconti che ha lasciato circolare su com’è nata la sua fortuna, un patrimonio da oltre 20 miliardi di dollari.

I camionisti la usavano contro la stanchezza, i tassisti e i guidatori di tuk-tuk pure, ma aveva un gusto improponibile per gli standard europei. Mateschitz si mette in società con l’inventore, il thailandese Chaleo Yoovidhya (scomparso dieci anni fa, ma i suoi eredi hanno ancora il 51% delle quote della Red Bull) e lancia l’energy drink. Con un’attenzione maniacale per il packaging, per il logo e per l’immagine. Per il marketing.

Mantiene il simbolo dei due tori (in realtà sono bufali thai), un messaggio potente, ritocca la ricetta aggiungendoci CO2 ma lasciando la taurina che dà la sveglia. Mateschitz mette in pratica quello che ha imparato in Procter & Gamble dove si era occupato di dentifrici dopo una laurea presa — con molta calma — a Vienna. Lascia l’incarico per mettersi in proprio, sembra un’avventura folle destinata a fallire presto. Respinto dalle birrerie, dai bar, dai ristoranti. Il mondo delle discoteche gli lascia però uno spiraglio aperto intuendo le potenzialità del «Toro Rosso», nascono i primi drink «taurini». E inizia il successo.

Il resto è cronaca accompagnata da pochissime parole — interviste con il contagocce —, quelle rare volte che veniva ai Gran Premi si presentava con camicie a quadrettoni, jeans e giacche di pelle evitando le telecamere. Sorrisi e pacche sulle spalle con Gerhard Berger, il primo pilota in assoluto che ha sponsorizzato nella preistoria della Red Bull. Ha acquistato un team decotto (la Jaguar Racing) facendolo diventare uno dei più vincenti di sempre, da Gian Carlo Minardi poi ha rilevato la scuderia di Faenza per farne una «palestra per i futuri campioni», la Toro Rosso oggi AlphaTauri (da lì sono usciti Sebastian Vettel e Max Verstappen). La Formula 1 dà alla Red Bull la consacrazione definitiva a livello di immagine e di posizionamento di mercato. I quattro titoli (2010-2014) di fila sono la parte più bella dell’album dei ricordi, le feste con Seb.

Mateschitz era un perfezionista e al tempo stesso un eccentrico. Ossessionato dalla cura dei dettagli, dai materiali, quando realizza il circuito di Formula 1 (ribattezzato Red Bull Ring) per scusarsi dei disagi creati dai lavori paga di tasca sua i cittadini di Spielberg — e dei comuni limitrofi — per abbellire case e giardini. Un patrimonio stimato in 25 miliardi di dollari. Regala biciclette elettriche e monopattini, lui che si è regalato un’isola personale alle Fiji e un sottomarino iper-tecnologico per esplorare le profondità dell’Oceano. Vuole restituire alla sua terra, la Stiria snobbata dal turismo eppure bellissima, perché schiacciata fra Salisburgo e la Carinzia. Compra castelli e li rimette a nuovo, chiama le migliori ditte da Vienna per spiegare ai suoi compaesani come vanno eseguiti i lavori, arriva a seguirli personalmente fra lo sguardo incredulo degli operai che lo vedono arrivare di primo mattina, senza guardie del corpo. Si regala un maestoso «Schloss» dove trascorre il tempo che non passa nella capitale austriaca o all’estero.

Amava il design e l’adrenalina, possedeva una collezione di aerei storici — perfettamente funzionanti — in mostra nell’Hangar 7 di Salisburgo. Si divertiva un mondo a volare sul DC6-B appartenuto al Maresciallo Tito mentre l’equipaggio — rigorosamente in divisa d’epoca — lo accoglieva come un re. Ali spiegate, sempre. Buon viaggio Mister Red Bull.

22 ottobre 2022 (modifica il 23 ottobre 2022 | 00:25)

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, 2022-10-22 23:57:00, Era il re delle bevande energetiche, ha fondato un impero da oltre 23mila dipendenti. Aveva scovato la bevanda con cui ha fatto fortuna in Thailandia, in un bar di Bangkok, Daniele Sparisci

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