Marche, i fondi stanziati nell’86: tutto fermo ancora oggi. Così il fiume Misa è rimasto area a rischio

di Rinaldo Frignani

Tre alluvioni in 16 anni. Un solo cantiere aperto ma non è a regime. Per mettere in sicurezza gli argini servono vasche di contenimento. Non sono mai state realizzate per la burocrazia e per l’impatto ambientale

Trentasei anni per assistere impotenti ad almeno tre alluvioni, costate una ventina di morti e danni per milioni di euro, e a una miriade di episodi minori collegati comunque a ondate di maltempo che non sono stati sufficienti per spingere chi avrebbe dovuto a mettere in sicurezza il fiume Misa. Un corso d’acqua «a carattere torrentizio» che — come l’ingegner Alessandro Mancinelli, già consulente del comune di Senigallia aveva spiegato tempo fa in una sua relazione sul Piano straordinario di individuazione delle aree a rischio idraulico — è capace «di portate nulle nel regime di magra e di piene di centinaia di metri cubi». Anche senza bombe d’acqua, evidentemente.

I lavori bloccati

È in particolare dal 1986, quando sono stati stanziati miliardi per la messa in sicurezza degli argini del Misa con i Fondi per gli investimenti e l’occupazione (Fio), che si comincia a parlare di cantieri da aprire a Senigallia per evitare le alluvioni che si sono susseguite numerose fin dal 1765: solo dal Novecento sono già state 13, le ultime tre in soli 16 anni. Tutto ruota attorno alla creazione delle aree di laminazione, che servono a invasare le acque della piena e impedire che escano dagli argini e vengano mandate a valle. «Si tratta di milioni di metri cubi d’acqua», spiega Erasmo D’Angelis, ora segretario generale dell’Autorità di bacino del Tevere ma che nel 2014 — proprio all’indomani dell’alluvione del 3 maggio che ha colpito sempre Senigallia provocando quattro morti — era il coordinatore della struttura di missione di Italia sicura, il programma del governo Renzi che aveva stanziato 45 milioni di euro degli otto miliardi complessivi, proprio per la costruzione della cassa di espansione per il Misa.

Il progetto fermo

«Immensi contenitori, vasche enormi — spiega D’Angelis — che servono a immagazzinare l’acqua per frenarla. Il governo Conte ha cancellato Italia sicura e quel progetto, ma analoghe iniziative già finanziate a Genova e Firenze sono andate avanti». Anche questa avrebbe seguito la stessa strada, se tutto non si fosse fermato nel settembre 2020. «Per una questione di espropri — aggiunge — la procedura si è bloccata ancora per un anno e solo nel febbraio scorso, dopo le pressioni dei sindaci del territorio, c’è stata la consegna dei lavori, ma ancora non è partito nulla. Sono state sistemate solo alcune arginature».

Il tempo perduto

Già il progetto del 1986 della Regione Marche non aveva visto la luce perché bocciato in quanto prevedeva un enorme cassone in cemento armato che, non solo era stato considerato dagli esperti un errore dal punto di vista idraulico, ma avrebbe anche avuto un impatto negativo sull’ambiente. Il successivo progetto, che prevedeva l’impiego di altri materiali, con la terra battuta, era stato invece inserito nel piano di Italia sicura. «Vi avevano partecipato tutti, dall’Autorità di bacino alla Protezione civile, e poi il Comune e la Regione — ricorda D’Angelis — non se n’è fatto nulla, ma quel progetto non era politico ma una necessità per il territorio, come si vede oggi. Le casse di espansione, due delle quali sono già state progettate, erano necessarie. In questo campo il tempo fa la differenza, se lo butti corri rischi».

Primo cantiere nel 2022

Senza contare che già nel 2009 la Regione aveva avviato gare per i lavori di messa in sicurezza del fiume perché ritenute «urgenti e prioritarie» ma anche in questo caso, nonostante i fondi fossero a disposizione, solo una minima parte degli interventi sul Misa è stata portata a termine. Un caso di mala-burocrazia che si è trascinato fino al 2018 con i primi bandi, gli appalti assegnati ma solo per un tratto di Misa, con il blocco dei lavori a causa di problemi collegati alla valutazione di impatto ambientale. La modifica del progetto è durata altri tre anni, fino al 2021 quando finalmente i 900 mila euro stanziati per il posizionamento delle vasche di espansione hanno un loro utilizzo in un cantiere che viene aperto, appunto, pochi mesi fa. In questo caso in località Bettolelle.

La pulizia del fiume

Eppure sono state proprio le Marche a considerare il Misa un’area «a rischio idrogeologico molto elevato» (R4) nel Piano di assetto idrogeologico regionale. L’alluvione del 2006 ha portato alla progettazione di interventi con il posizionamento di casse di espansione in vari punti del fiume, come nel bacino del rio Scaricalasino. Ma a tutt’oggi gli interventi hanno riguardato, solo quando è stato possibile, la bonifica del letto del fiume e il dragaggio per cercare di rimuovere i detriti dell’alluvione del 2014. Troppo poco, evidentemente. Senza contare il nodo della pulizia dei terreni colpiti dall’ondata di siccità di quest’estate, che non hanno opposto resistenza all’acqua uscita dagli argini, come evidenziano ancora oggi dalla Protezione civile, che fa notare anche l’importanza fondamentale di mantenere i fiumi puliti e che le abitazioni non si trovino proprio a ridosso dei corsi d’acqua già a rischio.

18 settembre 2022 (modifica il 18 settembre 2022 | 07:11)

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, 2022-09-18 05:32:00, Tre alluvioni in 16 anni. Un solo cantiere aperto ma non è a regime. Per mettere in sicurezza gli argini servono vasche di contenimento. Non sono mai state realizzate per la burocrazia e per l’impatto ambientale, Rinaldo Frignani

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