Le lunghe radici di un sistema

editoriale Mezzogiorno, 10 luglio 2022 – 10:18 Arresti, politici e democrazia di Sergio Talamo Raffaele Fitto e Michele Emiliano rappresentano i poli opposti dello stile comunicativo, della concezione della politica e persino della mimica facciale e della postura. Raffaele è un figlio della Prima Repubblica, dell’organizzazione di partito, dei tempi lunghi e del tatticismo. Michele è un prodotto funambolico della Seconda, estroverso, brillante e istintivo fino all’opportunismo. Il garantismo è l’unico valore che li porta a scambiarsi i ruoli. Di fronte all’ennesimo scandalo che investe la Regione Puglia, a base di tangenti, sesso e spumante, per attaccare il governatore, Fitto deve premettere che per lui conta prima di tutto la presunzione di innocenza. L’affondo infatti punta su altro: «Un sistema di potere imperniato su un mercimonio di nomine, incarichi, gare e, quel che è peggio, posti di lavoro per parenti e amici… Un sistema che ha un unico responsabile politico e morale: Michele Emiliano». In realtà, il “sistema” ha origini molto più lontane e responsabilità ben più diffuse. Nei primi anni ’90 l’Italia fu travolta da quella che sembrava una salutare iniezione di etica nella vita pubblica, e che invece presto si rivelò il suo esatto contrario. Il potere venne trasferito dai partiti ai singoli salvatori della patria, legittimati a qualsiasi arbitrio in termini di programmi, alleanze, nomine pubbliche. Il controllo civico sui comportamenti dei nominati si allentò presto, dopo i fuochi fatui delle inchieste nutrite dal circuito mediatico. Il potere populista, oltre ad alimentare lo strapotere delle Procure, produsse una degenerazione costante nel punto più delicato delle democrazie: la selezione delle classi dirigenti. Il percorso fu portato a termine nel 2006, con le liste bloccate per le elezioni politiche. Da allora, la selezione dei migliori si trasformò definitivamente nella designazione dei più fedeli esecutori di ordini. In questo “sistema”, il capo è autorizzato a tutto. Il suo potere assoluto è insito nel meccanismo stesso di legittimazione elettorale. A livello locale il leader supremo genera a piacimento liste con il suo nome e alleanze usa e getta, dispensa promesse e ricompense, e molto spesso inciampa proprio per l’assenza delle verifiche che solo l’organizzazione collettiva e le scelte collegiali permettono. Il risultato è che mentre il presidente commissaria e sostituisce le pecore nere, il capo dell’opposizione lo mette sotto accusa per la responsabilità complessiva del suo apparato di governo. Tutto giusto. Basta però ricordarsi che la democrazia non sta morendo nelle casse di aragoste elargite per un posto, ma nella selezione affidata ad un singolo a cui si chiede solo di vincere. 10 luglio 2022 | 10:18 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-07-10 08:19:00, Arresti, politici e democrazia,

Pietro Guerra

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