La noce di cocco che salvò JFK e la figlia che torna per ringraziare le famiglie di chi aiutò il padre

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di Greta Privitera

L’ambasciatrice Caroline Kennedy ha incontrato i due figli degli uomini che misero in salvo il futuro presidente e il suo equipaggio: «Sono così grata di essere qui»

Tra il 1961 e il 1963, in quei due anni e dieci mesi di presidenza Kennedy, chi entrava nello studio Ovale e guardava bene sulla scrivania del presidente, dietro la lampada, sulla sinistra, poteva notare un piatto di legno con dentro una specie di quarto di luna marrone, un fermacarte alquanto bizzarro. Quell’oggetto inaspettato da trovare su un tavolo presidenziale, conteneva una parte di un guscio di noce di cocco con incise delle parole che nel 1943 hanno salvato la vita di JFK.

Oltre che per rinnovare l’influenza degli Stati Uniti nel Pacifico meridionale vista quella cinese, la famosa noce di cocco è anche il motivo per cui Caroline Kennedy, la nuova ambasciatrice degli Stati Uniti in Australia, è andata a Honiara sulle isole Salomone. Per l’80° anniversario della battaglia di Guadalcanal — un combattimento tra le forze alleate e giapponesi che segnò una svolta nella Seconda Guerra Mondiale — emozionata, Caroline Kennedy ha incontrato John Koloni, figlio di Eroni Kumana, e Nelma Ane, figlia di Biuku Gasa, i due uomini che hanno consegnato il guscio della salvezza al guardacoste australiano con cui lavoravano. «Sono così grata di essere qui. Vi ringrazio e spero un giorno di portare i miei figli e continuare questo rapporto», ha detto l’ambasciatrice.

La storia del guscio di cocco vale una sceneggiatura di Hollywood. Durante la guerra, JFK si trova al comando di una piccola unità navale di pattuglia nel Pacifico meridionale. Il 2 agosto 1943, la sua barca viene speronata da un cacciatorpediniere giapponese. Da questo punto in poi il futuro presidente diventa una sorta di Rambo ante litteram. Una volta finito in mare, nuota per più di tre miglia (quasi cinque chilometri) fino all’isola più vicina, stringendo tra i denti la cinghia del giubbotto di salvataggio di un compagno ferito e portandolo in salvo. Con quello che rimane del suo equipaggio, arrivano su un’isola deserta dove per due giorni mangiano solo noci di cocco. JFK capisce che restare lì non è una buona idea e, di nuovo in mare, arrivano su un’isola più grande. È il 5 agosto, mentre JFK e un suo compagno sono alla ricerca di acqua e cibo vedono da lontano Eroni Kumana e Biuku Gasa, i loro salvatori in canoa. Sono due abitanti delle isole Salomone che, fortuna vuole, lavoravano con la guardia costiera accanto alle forze alleate. In un’intervista al National Geographic, proprio Kumana aveva ricordato l’incontro con l’equipaggio americano: «Alcuni di loro hanno pianto, altri ci hanno stretto la mano. Quando Kennedy ci ha visto è corso e ci ha abbracciato». A JFK viene in mente di scrivere sul guscio della noce di cocco un messaggio di SOS da recapitare ai soldati: «Isola di Nauro. Comandante. I nativi sanno. 11 sopravvissuti. Bisogno di una piccola barca. Kennedy». Tutto in stampato maiuscolo. I due uomini portano il messaggio alle truppe alleate rischiando moltissimo perché per farlo attraversano con la loro canoa le acque occupate dai nemici giapponesi, salvando il futuro presidente degli Stati Uniti e i suoi uomini. Negli anni, Kennedy è rimasto in contatto con Kumana e Gasa, e oggi, la figlia Caroline porta avanti la tradizione. Questa storia eroica è servita anche per la sua ascesa in politica. In fondo, chi non poteva credere a un leader che salva un equipaggio con una noce di cocco?

8 agosto 2022 (modifica il 8 agosto 2022 | 22:28)

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, 2022-08-08 21:37:00, L’ambasciatrice Caroline Kennedy ha incontrato i due figli degli uomini che misero in salvo il futuro presidente e il suo equipaggio: «Sono così grata di essere qui», Greta Privitera

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