Intelligenza Artificiale e didattica, il caso californiano: tecnologia e discipline sincontrano

La scuola, almeno a livello globale, si fa sempre più intuitiva, innovativa e digitale. A dettare le linee del progresso, oltre che la fruizione oramai decisa ed onnipresente dei media di massa, sono le necessità sempre più importanti di un corpo docente desideroso di innovazione e studenti in combutta con i limiti pratici della didattica tradizionale, da gessetto e lavagna in aula. Anche lo studio degli audiovisivi, primaria fonte di innovazione, si regge su delle esigenze digitali di una scuola spesso in combutta formale con i finanziamenti per la digitalizzazione, specie nel Belpaese; oltre alla penuria di investimenti strutturali ed efficaci, risulta assente la formazione per un corpo docente che, in particolari occasioni, necessita di una primaria alfabetizzazione digitale in linea con i quadri Ministeriali ed Europei (Tecnologia nella Società della Comunicazione e Digitale Comunicazione Informazione) sulla didattica contemporanea. L’introduzione di tools didattici innovativi è da sempre lo scoglio concettuale che separa una didattica di vecchio livello, con riferimento ai manuali ed ai libri di testo, da quella ritenuta innovativa dalle masse, le quali prediligono non il definitivo abbandono, ma una saggia e doverosa integrazione tra supporti cartacei e digitali. In tal soccorso opera l’intelligenza artificiale, elemento già attivo in molti tools utilizzati da tutti quotidianamente: bots, traduttori on-line ed altro ancora. La differenza sostanziale che la contraddistingue da un database consiste nella capacità di ripetere azioni umane ed apprendere attraverso le numerose segnalazioni degli utenti o degli sviluppatori, che adattano, nel caso specifico delle traduzioni, una lingua grammaticale ed altamente meccanizzata all’idioma corrente nel quale si desidera effettuare la traduzione.

Il caso californiano: sbarca in ateneo l’IA e relativi strumenti. Fa discutere il rischio di plagio

L’University of California, Berkeley School of Law è tra le prime scuole di diritto ad adottare una politica formale sull’uso da parte degli studenti dell’intelligenza artificiale generativa come ChatGPT. La politica, implementata il 14 aprile, consente agli studenti di utilizzare la tecnologia AI per condurre ricerche o correggere la grammatica dei testi prodotti in aula. Ma non può essere utilizzata per esami o per comporre compiti assegnati. Lo stesso vale per le attività di plagio, reato gravemente punito dalla normativa californiana. L’inosservanza indicherebbe che gli studenti di giurisprudenza violerebbero il codice d’onore dell’ateneo se usassero ChatGPT o un programma simile per redigere il loro lavoro in classe e semplicemente riformulassero il testo prima di consegnarlo, ha reso noto il professor Chris Hoofnagle, che ha lavorato con altri due membri della facoltà per sviluppare la politica nell’ultimo mese. Il nuovo criterio è predefinito. I singoli professori possono derogare alle regole se ne danno preventiva comunicazione scritta agli studenti. “L’avvicinarsi del rischio di plagio diffuso ci ha fatto capire che dovevamo fare qualcosa”, ha detto Hoofnagle. “Vogliamo assicurarci di avere linee guida chiare in modo che gli studenti non attirino inavvertitamente una violazione del codice d’onore”. L’introduzione di novembre di ChatGPT e dei successivi modelli linguistici di grandi dimensioni che generano risposte sofisticate e simili a quelle umane basate su richieste degli utenti e montagne di dati, ha provocato un significativo dibattito tra gli educatori che temono che gli studenti utilizzino i programmi per ridurre il proprio impegno. Ma altri affermano che l’IA generativa ha il potenziale per migliorare l’apprendimento degli studenti se utilizzata in modo appropriato.

E in Italia?

La scuola italiana, secondo molte voci, non è pronta ad accogliere strumenti analoghi. In verità, una buona parte dei sistemi LIM utilizzati sono di creazione e programmazione autoctona, ma il vero scoglio è costituito dall’interiorizzazione del digitale nella didattica quotidiana svolta in classe. Il rischio, oltre al già annunciato plagio, riguarda la raccolta dei dati, tema caldo sia a livello politico sia per le famiglie. L’UE, Italia inclusa, adotta due capisaldi legali in netto contrasto con la libera introduzione dell’IA a scuola o negli edifici pubblici in generale: la 801/77, Diritto d’Autore e Plagio ed il più ampio e generale Codice della Protezione dei Dati Personali, risalente al 2003. Essendo tutti oramai muniti di smartphones ed acconsentendo al trattamento talvolta libero dei nostri dati, questi vengono comunque utilizzati dai sistemi informatici ed immagazzinati con lo scopo ufficiale di migliorare l’esperienza in rete dell’utente ed acquisire dati d navigazione con fini statistici. Il Dicastero di Viale Trastevere capeggiato da Valditara, ha intenzione di sburocratizzare la scuola mediante l’uso di sistemi IA. Lo ha dichiarato giorni fa lo stesso Ministro: “Uno degli impegni principali che abbiamo assunto e che stiamo mantenendo è realizzare un serio intervento di sburocratizzazione della scuola, perché questa possa concentrarsi sulla sua missione principale: l’attività educativa. Con il Piano per la semplificazione puntiamo a migliorare la qualità della nostra scuola, rilanciamo e finalmente completiamo l’autonomia scolastica, introducendo nuove forme di coordinamento e di sostegno”.

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