Come sarebbe l’Italia  se Napoleone avesse vinto

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Caro Aldo,

sono convinto che se non ci fossero stati gli inglesi Napoleone avrebbe vinto a Waterloo e che l’Europa continentale unita, anche se a guida francese, esisterebbe da più di due secoli. Di conseguenza, molto probabilmente, viste le premesse, non ci sarebbero state le due guerre mondiali, con un grande risparmio di vite umane. D’altronde l’Inghilterra ha sempre avuto paura di una Europa forte e unita al di là della Manica. È un’ipotesi, con i se non si fa la storia. Ma lei cosa ne pensa?

Luciano Rossi, Brugherio

Caro Luciano,

Con i se non si fa la storia, ma ci si diverte un sacco a immaginarla. Se Napoleone avesse vinto a Waterloo e unificato l’Europa, oggi non parleremmo quella lingua dal «suono strano» che ferisce «al cuore come un coltello» (l’inglese secondo Francesco Guccini), ma quella lingua meravigliosa che è il francese, dolce come l’italiano e musicale come il portoghese. Il Piemonte sarebbe un dipartimento francese, e non avrebbe unificato l’Italia, per la gioia di nordisti e sudisti, bossiani e neoborbonici. La Juventus avrebbe vinto quasi tutti i campionati della Ligue 1. Roma sarebbe più pulita e meno caotica. Il Louvre avrebbe qualche capolavoro italiano in più; in compenso il Quirinale sarebbe il Louvre italiano. Milano, adorata da Napoleone, sarebbe la seconda città d’Europa. Mangeremmo la pasta scotta e a forza di choucroute e pot-au-feu avremmo tutti il colesterolo più alto: i medici si interrogano da decenni senza risposta sul motivo per cui i francesi si cibano di trigliceridi fritti eppure campano in media fino a ottant’anni, proprio come i giapponesi che si nutrono di tofu, alghe e pesce crudo. Scherzi a parte, il fascino di Napoleone a due secoli di distanza non diminuisce. «Per l’Italia avrei potuto fare di più» mormorava a Sant’Elena. Pur di madrelingua italiana — parlò francese per tutta la vita con l’accento italiano —, Napoleone conosceva poco il nostro Paese. Tentò di plasmarlo senza tener conto che il vero fattore comune era la fede cattolica, e fallì. Eppure un seme era stato gettato. L’idea nazionale, l’unificazione politica e giuridica, l’epopea del Risorgimento, il tricolore stesso senza Napoleone non sarebbero mai esistiti.

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Storia

«Mia madre in divisa e moschetto, così riuscì a studiare»

Mio nonno era stato spedito in America dal padre. Stava per scoppiare la prima guerra mondiale. Disse al figlio: stai alla larga, nessuna guerra vale la pena di essere combattuta. Visse bene in America, ma quando seppe che l’Italia era entrata in guerra tornò e si arruolò. Diceva che altrimenti si sarebbe sentito un codardo. Dovette ricredersi. Aveva ragione il padre, furono le sue conclusioni: le guerre sono orribili. A suo modo, fu antifascista. Non prese la tessera fascista, sebbene avesse un frantoio a Filandari. Per questo un giorno arrivarono i fascisti per dargli la purga. A detta di mia madre, suo padre non aveva paura di nulla. Li aspettò sulla porta del frantoio, nel frattempo chiamò i suoi amici in aiuto. Ebbene i fascisti con le loro divise e i loro pennacchi capirono la situazione: un uomo non pauroso e degli amici bellicosi, un paese solidale, e tornarono sui loro passi. Mio nonno si scansò la purga. Mia madre mi dice che non aveva mai visto il padre piangere. Ma pianse quando l’Italia aderì alla seconda guerra mondiale. Mia madre invece era maestra elementare. Fu il suo maestro, fascista assai convinto, a convincere suo padre di farle continuare la scuola perché, diceva, la bambina è capace e vuole fare la maestra. E mio nonno di simpatie socialiste ascoltò un maestro fascista. Ma quando mia madre tornava a casa vestita da piccola italiana e con il moschetto, il padre le diceva: «Quando torni a casa togliti subito la divisa e riponi il moschetto. Soffro nel vederti così, mi verrebbe la voglia di mandarti dalla sarta e non farti studiare. Sopporto questo sacrificio perché il tuo maestro mi dice che sei brava a scuola».

Carolina Arena

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Vi proponiamo di mettere in comune esperienze e riflessioni. Condividere uno spazio in cui discutere senza che sia necessario alzare la voce per essere ascoltati. Continuare ad approfondire le grandi questioni del nostro tempo, e contaminarle con la vita. Raccontare come la storia e la cronaca incidano sulla nostra quotidianità. Ditelo al Corriere.

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Pubblichiamo la lettera con cui un giovane o un lavoratore già formato presenta le proprie competenze: le lingue straniere, l’innovazione tecnologica, il gusto del lavoro ben fatto, i mestieri d’arte; parlare cinese, inventare un’app, possedere una tecnica, suonare o aggiustare il violino

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Diamo spazio a un’azienda, di qualsiasi campo, che fatica a trovare personale: interpreti, start-upper, saldatori, liutai. 

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Chiediamo di raccontare un’ingiustizia subita: un caso di malasanità, un problema in banca; ma anche un ristorante in cui si è mangiato male, o un ufficio pubblico in cui si è stati trattati peggio. Sarà garantito ovviamente il diritto di replica

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Vi proponiamo di fissare la memoria di una persona che per voi è stata fondamentale. Una figlia potrà raccontare un padre, un marito la moglie, un allievo il maestro. Ogni sabato scegliamo così il profilo di un italiano che ci ha lasciati. Ma li leggiamo tutti, e tutti ci arricchiranno. 

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, 2022-10-14 22:31:00,

Caro Aldo,

sono convinto che se non ci fossero stati gli inglesi Napoleone avrebbe vinto a Waterloo e che l’Europa continentale unita, anche se a guida francese, esisterebbe da più di due secoli. Di conseguenza, molto probabilmente, viste le premesse, non ci sarebbero state le due guerre mondiali, con un grande risparmio di vite umane. D’altronde l’Inghilterra ha sempre avuto paura di una Europa forte e unita al di là della Manica. È un’ipotesi, con i se non si fa la storia. Ma lei cosa ne pensa?

Luciano Rossi, Brugherio

Caro Luciano,

Con i se non si fa la storia, ma ci si diverte un sacco a immaginarla. Se Napoleone avesse vinto a Waterloo e unificato l’Europa, oggi non parleremmo quella lingua dal «suono strano» che ferisce «al cuore come un coltello» (l’inglese secondo Francesco Guccini), ma quella lingua meravigliosa che è il francese, dolce come l’italiano e musicale come il portoghese. Il Piemonte sarebbe un dipartimento francese, e non avrebbe unificato l’Italia, per la gioia di nordisti e sudisti, bossiani e neoborbonici. La Juventus avrebbe vinto quasi tutti i campionati della Ligue 1. Roma sarebbe più pulita e meno caotica. Il Louvre avrebbe qualche capolavoro italiano in più; in compenso il Quirinale sarebbe il Louvre italiano. Milano, adorata da Napoleone, sarebbe la seconda città d’Europa. Mangeremmo la pasta scotta e a forza di choucroute e pot-au-feu avremmo tutti il colesterolo più alto: i medici si interrogano da decenni senza risposta sul motivo per cui i francesi si cibano di trigliceridi fritti eppure campano in media fino a ottant’anni, proprio come i giapponesi che si nutrono di tofu, alghe e pesce crudo. Scherzi a parte, il fascino di Napoleone a due secoli di distanza non diminuisce. «Per l’Italia avrei potuto fare di più» mormorava a Sant’Elena. Pur di madrelingua italiana — parlò francese per tutta la vita con l’accento italiano —, Napoleone conosceva poco il nostro Paese. Tentò di plasmarlo senza tener conto che il vero fattore comune era la fede cattolica, e fallì. Eppure un seme era stato gettato. L’idea nazionale, l’unificazione politica e giuridica, l’epopea del Risorgimento, il tricolore stesso senza Napoleone non sarebbero mai esistiti.

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Mio nonno era stato spedito in America dal padre. Stava per scoppiare la prima guerra mondiale. Disse al figlio: stai alla larga, nessuna guerra vale la pena di essere combattuta. Visse bene in America, ma quando seppe che l’Italia era entrata in guerra tornò e si arruolò. Diceva che altrimenti si sarebbe sentito un codardo. Dovette ricredersi. Aveva ragione il padre, furono le sue conclusioni: le guerre sono orribili. A suo modo, fu antifascista. Non prese la tessera fascista, sebbene avesse un frantoio a Filandari. Per questo un giorno arrivarono i fascisti per dargli la purga. A detta di mia madre, suo padre non aveva paura di nulla. Li aspettò sulla porta del frantoio, nel frattempo chiamò i suoi amici in aiuto. Ebbene i fascisti con le loro divise e i loro pennacchi capirono la situazione: un uomo non pauroso e degli amici bellicosi, un paese solidale, e tornarono sui loro passi. Mio nonno si scansò la purga. Mia madre mi dice che non aveva mai visto il padre piangere. Ma pianse quando l’Italia aderì alla seconda guerra mondiale. Mia madre invece era maestra elementare. Fu il suo maestro, fascista assai convinto, a convincere suo padre di farle continuare la scuola perché, diceva, la bambina è capace e vuole fare la maestra. E mio nonno di simpatie socialiste ascoltò un maestro fascista. Ma quando mia madre tornava a casa vestita da piccola italiana e con il moschetto, il padre le diceva: «Quando torni a casa togliti subito la divisa e riponi il moschetto. Soffro nel vederti così, mi verrebbe la voglia di mandarti dalla sarta e non farti studiare. Sopporto questo sacrificio perché il tuo maestro mi dice che sei brava a scuola».

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, Aldo Cazzullo

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