Il giornalismo narrativo: unoccasione didattica e di crescita personale. Il corso della Scuola Holden

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This is another clever ingredient!,

Dall’altro all’altrove

di Silvia Cannarsa e Marina Gellona

Se si vuole dare una spiegazione semplice di cosa sia il giornalismo narrativo, o di tutta la letteratura non-fiction, si può forse dire che la tensione di questo genere sia raccontare storie vere con gli elementi e le tecniche del romanzesco. L’accento è sempre da porre su storie vere: sono poi le tecniche a rendere la lettura affascinante e complessa.

Il primo vero esempio di giornalismo narrativo è del 1946, quando John Hersey pubblicò Hiroshima, una ricostruzione del bombardamento atomico attraverso l’esperienza di alcuni sopravvissuti. Hiroshima è stato un reportage rivoluzionario, che ha unito la narrazione al rigore investigativo. È un altro tipo di rivoluzione quella che fa Truman Capote, poi, con il suo racconto a puntate A sangue freddo, pubblicato nel 1965. Capote provò a indagare nelle profondità dell’animo di due uomini che avevano assassinato una famiglia, mescolando reportage giornalistico, inchiesta e analisi psicologica. A sangue freddo, più ancora dei suoi romanzi e sceneggiature, lo consacrò come intellettuale dell’epoca, ma svelò anche un tema diventato ricorrente in questo genere: la (troppa?) vicinanza dell’autore con la materia trattata.

La letteratura abbonda di grandissimi esempi di narrative non-fiction. Susan Orleans nel 1998 pubblicò un libro sul traffico delle orchidee rare; Rebecca Solnit, nel suo A Field Guide to Getting Lost, parlò di perdersi e ritrovarsi nella mappa di una città utilizzando come lente i film di Hitchcock e dipinti del Rinascimento; Murakami Haruki in Underground provò a narrare l’attentato nella metropolitana di Tokyo attraverso molteplici sguardi; Guy Talese, con Frank Sinatra ha il raffreddore, raccontò la sua impossibilità di intervistare il cantante facendo un meraviglioso ritratto dell’artista assente.

Un giornalista narrativo è un grande architetto della prosa ma è, soprattutto, qualcuno che ha qualcosa da dire”, ha detto la scrittrice Leila Guerriero. Può sembrare un messaggio scontato ma, nel grande mare della letteratura, la differenza tra avere qualcosa da dire e voler dire qualcosa, talvolta si perde. È proprio grazie al giornalismo narrativo che ritroviamo quel qualcosa, una storia, una vicenda, un senso profondo. “Potremmo dire, allora, che è uno sguardo, una forma narrativa e una maniera di addentrarsi nelle storie.”

Uno sguardo che parte dal sé, dal punto di vista del giornalista, per raccontare altri luoghi, altri punti vista, altre vicende. Non significa che ogni verità sarà plasmata solo da ciò in cui crede l’autore, ma che l’obiettivo attraverso il quale vediamo il mondo è il suo.

Joan Didion ne L’anno del pensiero magico raccontò il periodo di lutto dopo la morte di suo marito, e di un concatenamento di tragedie che si susseguirono. Quello che emerge non è il desiderio ombelicale di parlarci di sè, al contrario, il suo lutto diventa collettivo. L’anno del pensiero magico è diventato un testo di riferimento per chi ha attraversato uno shock. E lì risiede, forse, parte della chiave del giornalismo narrativo: parlandoci di altri, o di sé, ci parla, per tutto il tempo, di noi stessi.

Le storie reali hanno una potenza diversa proprio perché sono reali. Ed è forse la duttilità dei punti di vista a rendere il giornalismo narrativo così prolifico e coinvolgente. È un genere che si nutre dei suoi esempi eccellenti, ma anche della letteratura di fiction, dal fumetto, dalla fotografia, dalla poesia, perché racchiude in sé tantissime storie e tecniche. Si può fare un articolo a fumetti, scrivere un saggio lirico in frammenti o perché no, un’intervista in versi: le possibilità di declinare la realtà sembrano infinite, quando si comincia a pensarci.

Sono le sfumature, quelle che vengono disegnate: c’è la verità giornalistica, certo, ma ciò che si indaga sopra ogni cosa è sempre l’incertezza, i chiari-scuro, l’indefinitezza. È difficile trovare una strada unica, un dito alzato, una condanna senza appello, all’interno della narrative non-fiction. I buoni e i cattivi non saranno così semplici da indicare, e spesso avranno le loro ragioni.

All’interno di questo genere c’è una grande possibilità didattica e di conoscenza di sé: bisogna conoscere se stessi e le storie che ci circondano per trovare il modo giusto, più poetico, narrativo e chiaro, di raccontarle agli altri.

Nel corso online della Scuola Holden Il giornalismo narrativo: alla ricerca dell’altro e dell’altrove partiremo dalla narrazione personale per arrivare agli altri, all’intervista narrativa e al racconto dei luoghi e delle esperienze che viviamo. Sono otto incontri, immaginati per docenti che insegnano in scuole di qualunque livello: l’obiettivo è riflettere su come valorizzare il percorso personale proprio e degli studenti, per poi applicarlo alla scrittura dell’altro, della natura, del mondo per riuscire a strutturare storie complesse. Per utilizzare il sé come lente di ingrandimento dell’altro, dei sogni, dei desideri, delle ingiustizie, della bellezza e della fatica di essere al mondo. Il corso partirà il 13 aprile ed è possibile iscriversi anche con Carta Docente: tutte le informazioni si trovano sul sito della Scuola Holden.

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