I ragazzi sono cambiati. I docenti non sono cambiati, ma è colpa del sistema. Bocciatura? Ci sono strade migliori [INTERVISTA]

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“Alcuni docenti del liceo classico non comprendono che un adolescente non ha bisogno di uno studio estenuante e di una severità al limite del sadismo”.

Secondo il giornalista e scrittore, Beppe Severgnini, intervenuto sul tema con un articolo apparso sul Corriere della Sera, “cinque ore di lezione e altrettante di studio a casa sono dannose e non lasciano spazio per la vita. La scuola dovrebbe essere impegno, passione e divertimento, non un boot camp militare con un docente-sergente.

Gli insegnanti bravi non sono sempre buoni insegnanti, ma gli insegnanti cattivi sono quasi sempre cattivi insegnanti”. Poi ha aggiunto: “Un buon docente non deve avere un solo metodo, ma tanti quanti sono gli studenti. È troppo facile far raggiungere il successo agli studenti diligenti, ma il vero valore di un insegnante si misura dalla sua capacità di aiutare gli studenti più difficili. L’incapacità di capire questo è ciò che ha deluso molte famiglie, e credo che questo sia anche il motivo del calo di iscrizioni al liceo classico”.

L’articolo di Severgnoini ha suscitato un acceso dibattito sulla scuola, sugli insegnanti, sugli apprendimenti. Abbiamo raccolto il commento del preside Enrico Simonini, direttore dell’Istituto paritario “Dante Alighieri” di Modena, una scuola molto conosciuta in città, con un indirizzo di liceo scientifico, uno di liceo sportivo, e un Tecnico economico indirizzo Amministrazione, finanza e marketing. Il Dante Alighieri di Modena conta 200 alunni, e circa 25 docenti. “Gestisco scuole private da 25 anni”, scrive Simonini a commento di una discussione in merito all’uscita dello scrittore, e sono assolutamente d’accordo con Severgnini”. Da un lato, precisa, “è vero che i tempi sono cambiati e i ragazzi di oggi, anche a causa del cellulare, sono meno capaci di attenzione e approfondimento in aula e questo per i docenti è un problemino – gestione disciplinare difficile e rapporti con le famiglie a volte complicati – ma è anche vero che la didattica e l’approccio dei professori non è cambiato, non ha saputo cogliere i cambiamenti sociali, non è in grado di supportare psicologicamente e pedagogicamente i ragazzi, che passano buona parte del loro tempo a scuola. Attenzione, non parlo di educazione e di valori che spettano principalmente ai genitori – anch’essi sono molto cambiati in questi anni – ma di sostegno, di ascolto e di accoglienza. Il maledetto programma ministeriale, per la scuola italiana e i suoi interpreti dietro la cattedra sembra il sacro Graal da conquistare ad ogni costo. Selezione, competizione, pressione psicologica sono le ‘armi’ e non gli strumenti che la scuola sta mettendo in campo”.

Direttore Enrico Simonini, immagino che non volesse generalizzare

“Esatto. non bisogna assolutamente generalizzare. Il tema è delicato. La figura dell’insegnante è complessa, ho una grande stima dei docenti. Tuttavia nel mio lavoro ne sento tante. Ho un punto di vista privilegiato nell’ascoltare storie di vita vissuta. Certo, faccio la tara di quello che dicono le famiglie. Ascolto a lungo e attentamente ma sono anche consapevole che probabilmente le cose sono più complesse e che mi trovo di fronte a una visone di parte. Però ho insegnanti che lavorano anche nelle scuole statali con ore di completamento, quindi ho anche testimonianze e sfoghi di persone che vedo tutti i giorni”.

Chi arriva nelle vostra scuola paritaria?

“Arriva un 80 per cento di ragazzi dispersi dalla scuola pubblica. Non mi piace dire che hanno fallito il percorso ma piuttosto che non hanno trovato nella scuola precedente un’accoglienza e la soddisfazione attese”.

C’è stato forse un orientamento in ingresso sbagliato?

“L’orientamento non è così efficace anche se c’è da sottolineare che obiettivamente è molto difficile da fare. Non sto dicendo che non si fanno tutte le operazioni, ma i ragazzi di 13 anni sono molto infantili e le aspettative degli insegnanti delle scuole superiori sono più alte di quelle delle medie e quindi nel momento in cui devono suggerire alle famiglie la sede più opportuna tante volte queste aspettative, se i due mondi non si parlano, non si rivelano in linea con le valutazioni dei colleghi delle superiori. Probabilmente se gli insegnanti delle medie vivessero un confronto con i colleghi delle superiori sarebbe meglio. Negli open day cosa si fa vedere? Qualche laboratorio, e c’è confusione. Ben vengano, gli open day, ma non è da lì che puoi comprendere quale sia la scuola più consona alle attitudini e alle inclinazioni dell’alunno. E’ un passaggio di vita difficile e quindi dovrebbe essere messo in campo qualcosa di più efficace che possa favorire il passaggio in maniera più morbida. Se un ragazzino che ha fatto in modo scarso la matematica alle medie, si ritrova già a settembre con due insufficienze gravi, non ha la capacità e gli anticorpi per reagire e riprendersi, è una doccia gelata troppo forte. Non dico che non debba essere dato un quattro, ma il docente dovrebbe però spendersi per quei mesi per capire se quella scuola è idonea per l’alunno. Per fare questo ci vuole pazienza e impegno da parte sua. Dovrebbe fermarsi un po’ di più con il ragazzo. Ma se c’è fretta di finire il programma e anche i docenti più virtuosi fanno fatica e cominciano a fare la selezione considerando gli alunni che sono andati male fino a quel momento e dunque succede che a dicembre si chiami la famiglia per dire che la scuola scelta non è quella più corrispondente alle aspettative e alle capacità dello figlio. Ed è così che si disperdono ragazzi che con maggior tempo dedicato a loro si potrebbero salvare”.

Vengono da lei perché non riescono a fare la passerella in un’altra scuola statale oppure per altri motivi?

“Ci sono tanti casi. I ragazzi e le ragazze che scelgono una paritaria intanto lo fanno già in prima battuta e sono la stragrande maggioranza. A spingerli a fare la scelta della paritaria fin dall’inizio ci sono tante motivazioni: le dimensioni della scuola, la filosofia di fondo, e altro. Ma c’è una retta da pagare e con questa occorre fare i conti. Chi invece non arriva da noi in prima battuta sono studenti che prima non erano contenti di quello che stavano facendo o che sono consapevoli che non erano adatti per quella scuola. Negli ultimi anni si aggiungono persone che non sono riuscite a trovare un posto nella scuola statale per carenza di disponibilità, come sta succedendo in questi giorni nella nostra città. Proprio stamattina parlavo di questo con una mamma. Negli ultimi anni c’è tanta gente in più rispetto al passato che viene a fare la scuola qui. Dai colloqui emerge spesso che invece di esserci un’apertura c’è una maggiore chiusura da parte delle scuole nei confronti delle famiglie. Chiusura non solo numerica ma tante famiglie dicono di essersi sentiti dire: abbiamo altri problemi, non il suo. E invece le famiglie avrebbero diritto a una maggiore considerazione da parte delle scuole dove hanno deciso di iscrivere i figli. Per altri versi, chi arriva bocciato dopo un anno di scuola statale lo fa volutamente per riscattarsi o trovare un ambiente più consono”

Tanto, nella scuola privata paghi e ti promuovono. Perché secondo lei c’è questo pregiudizio? Sono tutti consapevoli che la scuola paritaria sia una scuola pubblica?

“Non penso. Da quando le scuole statali sono diventate molto attente al numero delle iscrizioni per potere avere i finanzamenti indubbiamente se io ho un indirizzo scolastico concorrenziale alle scuole statali questo viene visto come un ostacolo e quindi arrivano giudizi non lusinghieri da parte dei docenti e i ragazzi sono condizionabili. Inoltre, quando inserisci il tema del vil denaro a scuola, si innesca un ulteriore pregiudizio perché si aggiunge un argomento quasi scabroso. In realtà è un servizio, da una parte deve esser pagato dagli utenti, dall’altra parte c’è la tassazione. Dunque non c’è nessun legame tra soldi e promozione: la famiglia sa che il ragazzo se si impegna avrà successo, altrimenti no”.

Ma è proprio così? Non mi dica che ora si boccia anche nelle scuole private

“Si boccia, certo. Assolutamente sì. Se uno guarda alle statistiche della maturità trova anche promossi e bocciati anche qui. C’è anche un riorientamento, magari verso il serale statale ma anche verso il mondo del lavoro. E lo facciamo in maniera molto serena e parlando con la famiglia con trasparenza su ciò che non ha funzionato. Aggiungo peraltro che ci sono dirigenti scolastici delle scuole statali lungimiranti che consigliano la famiglia di venire da noi e questo è gratificante. Anche attraverso le commissioni esterne degli esami di Stato, avendo docenti esterni che vengono da noi, apprezzano il nostro lavoro”.

Allora mi deve spiegare perché bocciate di meno

“Ecco, questa è la domanda giusta. Perché bocciamo di meno? Perché non c’è bisogno di arrivare alle bocciature ma avendo le risorse giuste si può tranquillamente ottenere il successo che spetta, diverso uno dall’altro, per poter arrivare alla maturità. E’ importante di più il percorso rispetto al risultato. Noi prendiamo dei ragazzi di 14 anni per portarli, in cinque-sei-sette anni alla maturità e occorre fare questo percorso nel migliore dei modi, e senza stigmatizzare le persone sui risultati che ottiene”.

La valutazione però ci vuole

“Certo che ci vuole. Il problema è: con che cosa deve essere in linea il ragazzo, per poter capire se sta ottenendo i risultati voluti? E qui probabilmente si gioca tanto: pensando all’Europa e a quello che ha detto Severgnini, il percorso può essere attuato in maniera diversa da quella basata sull’erudizione e sul nozionismo che molto spesso tendono a stressare i ragazzi. A succhiarli. Umberto Gallimberti ha già parlato, proprio qui a Modena, al Festival della filosofia, di educazione e istruzione, invitando a cercare di lavorare sull’anima invece che sulla mente intesa come apprendimento”.

La società è cambiata, i ragazzi sono cambiati, il cellulare distrae, ma lei sostiene che nel frattempo non sono cambiati gli insegnanti.

“I ragazzi sono cambiati. I docenti non sono cambiati, tuttavia non per colpa loro, ma perché è il sistema a incidere. Le risorse un tempo erano inquadrate, l’insegnante allora non doveva lavorare di psicologia, ma se oggi non lo facesse salverebbe i soliti alunni, ma di quelli meno strutturati che ne facciamo? Io ne vedo di non strutturati e fragili che rischano altrimenti la dispersione e le ragioni sono a me chiare. Non è misterioso, è una questione di volontà. Le risorse ci sono, basterebbe con queste risorse formare classi meno numerose, e disporre di una preparazione diversa da parte dei docenti. Prima c’era la Siss, ora non so come i docenti vengano valutati sulla pedagogia”.

Che cosa le dicono le famiglie o gli stessi alunni quando arrivano da voi, dispersi dalla scuola statale?

“Qualcuno mi riferisce che in una determinata materia l’anno prima o quest’anno avranno 15 debiti in matematica. Ma come puoi dare 15 debiti su 25 alunni senza renderti conto che non ti stai portando dietro una classe? Ma in situazioni del genere devi fermarti e tornare indietro nel programma, non ci deve essere nessuno che all’interno della scuola ti dica che non sei in linea con il programma. Occorre dare fiducia all’insegnante e ricordare che il lavoro del docente, che fa un lavoro egregio e questo va riconosciuto, non è quello di riempire caselle ma piuttosto quello di riuscire a portare tutto il gruppo, in maniera differenziata, al miglior risultato possibile”.

Lei fa facile, secondo lei nessuno storcerebbe il naso?

“Certo, questo percorso ha un difetto: le famiglie potrebbero chiamare per lamentarsi che la classi sono indietro. E allora occorrerebbe fare un discorso personalizzato: alcuni, i più bravi, vanno avanti e ci sono miliardi di tecniche e possibilità per portare avanti la classe in maniera omogenea. E poi si può anche non fare quella parte del programma e puntare su una lezione svolta in maniera più interessante. Ci sono mille modi per farlo. Ci sarà una riduzione del programma ma in Europa i programmi sono meno lunghi, quindi neppure retrocederemmo. Ma spesso il docente è incastrato in tante convenzioni e capita che anche gli insegnanti più giovani spesso si sentano dire dagli altri: perché vuoi uscire dal gruppo e fare diversamente? Se si nota una crepa e cioè che un docente valuta meglio degli altri questo mette in crisi la compattezza. Occorre dare un’area di autorità al docente come era nel passato, e non è semplice: ci vogliono anni”.

Come vede i nostri ragazzi?

“Se chiedi loro: sei felice? Loro dicono: no! Però riusciresti a far rispondere sì, se la scuola fosse per loro un migliore contesto. Alla loro età la scuola è una cartina al tornasole di quanto valgono. In realtà non lo deve essere, la scuola non deve essere una cartina al tornasole di quanto valgono gli alunni, la scuola è una delle palestre ma devono essere chiare le regole della palestra”.

Chi sono gli alunni “succhiati”?

“Gli alunni succhiati sono quelli strutturati e che arrivano da me e dicono che all’ultimo anno alla statale erano talmente scompensati e privi di energia che non sono risusciti più ad entrare nella propria scuola, l’ultimo anno, e l’hanno abbandonata: mi dicono che hanno un disagio di ingresso, come se avessero vissuto qualcosa che dà ansia e che il solo entrare lì dentro produce in loro un senso di inadeguatezza e di stanchezza. Dicono che sono estremamente provati rispetto a quanto chiedono gli insegnanti”.

Sono tanti?

“Non sono tantissimi, ma nell’ultimo anno sono in otto, un numero sproporzionato”.

E da voi si trovano meglio?

“Li vedi sorridere già dal giorno dopo. Li vedi ripartire con nuove energie perché si è resettato il divario rispetto alle aspettative dei docenti. Tu gli dici dimmi quel che hai fatto finora, ridai loro la fiducia, li consoli, elimini la competizione: magari l’alunno era stato fino a quel momento il secondo della classe. Qui non c’è l’elite, ti confronti con persone che vanno peggio di te e allora ti senti a tuo agio”.

Lei ha un buon giudizio dei docenti della scuola statale anche perché spesso alcuni dei suoi dipendenti completano le ore nella suola statale. Ma come si comporta la scuola paritaria di fronte alla denuncia contro insegnanti inadeguati?

“Di fronte a un insegnante inadeguato o comunque che è stato denunciato come incompetente, nella scuola statale spesso ci si sente rispondere: lo so, ne sono consapevole, ma non ci posso far nulla”.

E una scuola paritaria, lei conosce la sua, invece cosa fa in questi casi?

“Questa è la parte positiva della scuola privata. Se una persona non è adeguata si mettono in campo tutte quelle procedure necessarie, un colloquio immediato, e una risoluzione del problema. Nello specifico a me non è mai succeso in 25 anni di dover mandare via un docente. Magari siamo stati bravi nelle assunzioni, ma fin da subito l’ambiente è talmente motivante e soddisfacente che si rende conto che è una bella palestra. Quando va alla statale un nostro docente è allenatissimo sulle stretegie ma anche sul piano emozionale ha fatto quello che doveva fare. L’ambiente lo favorisce per mettere in campo le energie. Ha meno possibilità di lassismo. Io li vedo tutti carichi e volenterosi, è tutta gente che sa che può fare la differenza sui propri studenti. E’ una responsabilità molto importante. Sanno di valere, non sono delle pedine di un sistema più grande”.

Torniamo agli studenti che passano dalla statale alla vostra in corso d’opera. Qual è l’immagine della scuola statale che si lasciano dietro?

“Delusione, sconforto, confusione. Non sanno dov’erano, non sanno perché hanno sbagliato. Non hanno capito dove hanno sbagliato. Poi ho anche delle persone ben consapevoli di non avere lavorato a sufficienza”.

Insomma, parliamo di quelli che non hanno mai aperto un libro, come si suol dire, e che per questo sono stati bocciati, magari più volte alla statale. Vengono da voi e cambiano?

“Con i loro tempi, ma cambiano. E’ molto più difficile lavorare con i ragazzi difficili. Il monello in genere non è ascoltato, da noi i ragazzi si confessano. Poi… o ti ignoro o ti ascolto e cerco di capire”.

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