Guerra in Ucraina, Odessa la «russa» che maledice Putin

di Marta Serafini

Otto abitanti su dieci parlano russo. Nel 2014 nel rogo alla Casa dei Sindacati morirono 48 persone, uccise dai nazionalisti: fra loro putiniani, comunisti, separatisti Ora è Odesa, con una «s» sola, come la chiamano gli ucraini

dalla nostra inviata
ODESSA — «Non ci parliamo dal 24 di febbraio. Siete il nemico, mi ha detto, nell’ultimo messaggio». Soffre Odessa e non solo per i colpi che arrivano dal mare. «Che qui sorga una città e un porto», recita la scritta sotto la statua della zarina Caterina II che indica con la mano sinistra verso lo specchio blu del Mar Nero, ora ricoperta dai sacchi di sabbia. Correva l’anno 1794 e i russi avanzavano verso occidente. Embrione di quella «grande Russia» che sarebbe stata l’Unione Sovietica. Pochi passi più in là celebre scalinata immortalata da Ejzenstejn ne La corazzata Potemkin è deserta mentre suonano le sirene. Ha sempre parlato russo Odessa, otto abitanti su dieci. «Oggi però vorrei strapparmi i denti dalla bocca per non doverlo più fare», dice Sergej, davanti all’edicola. Ora è Odesa, con una «s» sola, come la chiamano gli ucraini.

Tatiana e Piotr camminano vicino all’Opera. Pensionati, si tengono per mano mentre il sole del mattino scalda il metallo dei cavalli di Frisia. «Mia cugina vive a Rostov. Dopo che Putin ci ha invaso ha deciso di interrompere ogni rapporto con noi. Ma non importa. Che siano maledetti tutti quanti loro». Strappi, odi. Ora è tutto tranquillo vicino a quella che fu la Casa dei Sindacati, data alle fiamme nel maggio 2014 dai nazionalisti ucraini. Ma quelle mura che rimasero lì annerite a ricordare il massacro sono una ferita che ancora sanguina in una città solitamente pacifica e dove, fino ad allora, avevano convissuto tutti: russi, ucraini, ebrei, armeni, bulgari, italiani. Poi, quando il governo filorusso venne sostituito con uno filoeuropeo, militanti comunisti, filo Putin, e separatisti vari si accamparono nell’edificio per protesta: in 48 trovarono la morte, carbonizzati mentre i gruppi neo-nazisti impedivano l’arrivo dei soccorsi.

Il vento che cambia

Cambia il vento a Odessa. Il sindaco Gennadiy Trukhanov fino al 2017 aveva un passaporto russo ed era visto con sospetto dai filo-ucraini. Nelle scorse settimane i suoi video su Facebook hanno espresso lo sgomento di una città intera. «Odessa è sempre stata una città di pace. Un porto dove fare affari, non un luogo in cui morire». Barats, 73 anni, è uno dei custodi dell’Odessa World Wide Club. Un circolo culturale fondato nel 1990 che riunisce gli abitanti della città sparsi in tutto il mondo: Mosca, San Pietroburgo, New York, Parigi e giù fino all’Australia, come indica la cartina appesa nella sala conferenze del centro. «Mio figlio vive in Russia, è un attore famoso. E in un discorso pubblico ha supplicato i russi, non ammazzate la mia gente. Quando si è trasferito all’estero per studiare ero felice ma chissà ora, forse non potrò vederlo ma più». Si spegne il sorriso degli occhi azzurri di Barats mentre racconta. Famiglie divise, dilaniate da una guerra che qui nessuno si aspettava.

La tv ora trasmette per lo più in ucraino. Un affronto per i russofoni di Odessa. «Volete entrare nell’Unione Europea e non tutelate noi che siamo la minoranza più forte?», dicevano fino a qualche settimana fa. Ma ora per le strade della regina del Mar Nero nessuno osa più affrontare l’argomento. Ora è maledetta Russia. «I russi sono sempre venuti a Odessa. Hanno sempre sentito solo calore a Odessa. Solo sincerità. E adesso? Bombe contro Odessa? Artiglieria contro Odessa? Missili contro Odessa?». La contraerea romba in cielo mentre dalle navi russe salpate da Sebastopoli partono i colpi. «Lo senti questo rumore? È Putin che si vuole vendicare, dice che ci vuole denazificare, è a noi che si riferisce. Ma sta commettendo un crimine. Qui i russi ci sono sempre venuti. Ma in vacanza».

Le mine in spiaggia

In realtà per lo Zar prendere Odessa vorrebbe dire garantire la contiguità territoriale con la Crimea. Ma il tempo è dalla parte della perla del Mar Nero: in questo mese la resistenza di Mariupol e Mykolayiv, a est, ha permesso alla città di mettere da parte armi, cibo, medicine e di diventare «una fortezza inespugnabile». Giù alla spiaggia il vento soffia forte e solleva la sabbia delle trincee. Ivan, tenente di Marina, si avvicina alle fortificazioni. Poco più in là, le cabine di legno di quello che era uno stabilimento balneare. «Ora qui ci sono le mine, state attenti dove mettete i piedi». La settimana scorsa proprio vicino alle fortificazioni hanno arrestato 12 sabotatori filo russi. «Gente che vive qua, due erano ubriachi, uno lo abbiamo ammazzato perché non aveva risposto all’altolà. Ma gli altri li abbiamo portati al fresco», racconta. Poi tira fuori il telefono. Mostra delle vecchie foto. «Ho combattuto in Cecenia, io. Ho visto l’orrore. Non dimenticherò. E non servirò mai più al loro fianco. Ora li aspetto qui sulla spiaggia».

22 marzo 2022 (modifica il 22 marzo 2022 | 23:18)

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