Ex terroristi non estradati, le vite (con famiglia) in Francia: dai libri sulla droga alla gestione di una pizzeria

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di Stefano Montefiori, corrispondente da Parigi

Giorgio Pietrostefani ha scritto saggi sulla tossicodipendenza, Marina Petrella ha lavorato come assistente sociale, Narciso Manenti fa l’artigiano, Maurizio Di Marzio ha aperto un locale

PARIGI — I dieci ex militanti della lotta armata di cui la giustizia francese rifiuta l’estradizione hanno età comprese tra i 61 e 78 anni e si sono rifugiati in Francia decenni fa. Ognuno con vite molto diverse. Il più noto è forse Giorgio Pietrostefani, nato il 10 novembre 1943 all’Aquila, ex dirigente di Lotta Continua condannato a 14 anni di carcere per l’uccisione del commissario Luigi Calabresi nel 1972 a Milano. Dopo la fine degli anni di piombo Pietrostefani in Italia è stato dirigente d’azienda all’Eni e poi alle Officine Meccaniche Reggiane, prima dell’arresto nel 1988. Nel 1992 è arrivato in Francia e si è occupato di una comunità terapeutica per tossicodipendenti allo Chateau de Corvier, a circa 150 chilometri a sud di Parigi, affiliata alla Saman di Mauro Rostagno, altro ex di Lotta Continua. Pietrostefani poi ha scritto molti saggi — tra i quali Il sistema droga – per capire le cause e punire meno, Geografia delle droghe illecite, La tratta atlantica – genocidio e sortilegio, La guerra corsara: forma estrema del libero commercio — ma negli ultimi anni, dopo un trapianto di fegato, le sue condizioni di salute sono peggiorate ed è obbligato a frequenti visite in ospedale.

Marina Petrella, nata a Roma 67 anni fa, già arrestata a Parigi e liberata «per motivi umanitari» nel 2008 dopo l’intervento di Valeria Bruni Tedeschi e Carla Bruni presso l’allora presidente Sarkozy, è stata condannata per vari fatti di sangue tra i quali l’uccisione, nel dicembre 1980, del generale dei carabinieri ed ex partigiano Enrico Galvaligi. «Ho fatto 10 anni di carcere, fra Italia e Francia. E trenta di esilio, un’espiazione quotidiana che dura tutta la vita, una pena senza sconti. Senza la possibilità di tornare nel proprio Paese, e sotterrare i propri morti», diceva Petrella poco più di un anno fa, quando era stata di nuovo arrestata. Vive a Saint Denis, alle porte di Parigi, e «ho cercato di fare del bene, di aiutare gli altri» (come assistente sociale nel XX arrondissement di Parigi, ndr): quello è stato il mio riscatto simbolico».

Narciso Manenti, in Francia da quarant’anni, è stato condannato all’ergastolo in Italia per l’uccisione, il 13 marzo, 1979, del carabiniere Giuseppe Gurrieri, in uno studio medico di Bergamo, davanti al figlio Mauro che era con lui. In una rara intervista al Corriere di Bergamo, nel 2019, Manenti ha parlato della sua nuova vita francese a Châlette-sur-Loing, una paese nel dipartimento Centro-Valle della Loira, a 100 km da Parigi con moglie, tre figli e un’impresa di servizi a domicilio: idraulica, elettricità, giardinaggio e pulizie di primavera. «Sono innocente. Non rivedo mai quegli anni, è una storia passata e non ci penso mai».

Altri si sono ricostruiti assieme. È il caso di Maurizio Di Marzio, 61 anni, condannato per banda armata, sequestro di persona e rapina, che a Parigi ha aperto la pizzeria «Baraonda» dove lavorava anche Giovanni Alimonti.

Poi c’è il caso di Sergio Tornaghi, nato nel 1958, ex operaio alla Marelli di Sesto San Giovanni, entrato a far parte delle Brigate rosse quando aveva vent’anni. Ha ammesso la sua partecipazione alle Br ma si è sempre proclamato innocente per il reato più grave che gli viene contestato, l’assassinio nella metropolitana il 12 novembre 1980 di Renato Briano, capo del personale dello stabilimento Ercole Marelli dove lavorava. Nel 1983 la fuga in Francia, da dove non è mai uscito per paura di essere bloccato alla frontiera. Si è sposato, ha avuto due figlie e dopo avere creato una piccola società di servizi informatici oggi fa l’operaio in uno stabilimento agro-alimentare in Dordogne, nella Francia centro-occidentale, dove vive. Pochi giorni prima del no all’estradizione ha rilasciato un’intervista alla Afp, nella quale si diceva convinto che «morire in prigione in Italia non porterebbe sollievo a nessuno». «Se si continua a coltivare l’odio dando la caccia a vecchi arnesi come me, non ne usciremo mai – proseguiva Tornaghi -. Ci vorrebbe un’amnistia, una soluzione che permetterebbe di superare le ferite vissute da tutti e cominciare a costruire una storia condivisa di quegli anni». Poche ore prima del no all’estradizione pronunciato dalla Corte di appello di Parigi, Tornaghi ha detto che «qualsiasi cosa accada, non andrò a morire in prigione in Italia. Anche in caso di parere favorevole alla mia estradizione, morirò in Francia, e vi lascio immaginare che cosa questo vuol dire».

Roberta Cappelli, nata a Roma il 5 ottobre 1955, è stata una brigatista condannata all’ergastolo per gli omicidi del generale Galavigi, dell’agente di polizia Michele Granato e del commissario Vinci, tra il 1979 e il 1981. Lei ha vissuto una situazione opposta a quella di oggi: se adesso il presidente Macron è favorevole all’estradizione ma la giustizia francese si oppone, nel 1995 la giustizia francese aveva detto sì ma allora era stato il presidente Jacques Chirac a decidere di non applicare il decreto. In Francia dal 1993, madre di un figlio, è educatrice.

Enzo Calvitti, nato a Mafalda in Molise il 17 febbraio 1955, anche lui ex componente delle Brigate Rosse, è stato condannato in Italia a 18 anni di carcare. In Francia si è sposato ed è diventato psicologo, ha esercitato fino all’anno scorso quando è andato in pensione. Luigi Bergamin è rifugiato in Francia dal 1982, ex militante di Prima Linea, fa il traduttore, ed è implicato nell’uccisione da parte di Cesare Battisti dell’agente penitenziario Antonio Santoro. Raffaele Ventura, 71 anni, regista condannato a 24 anni di carcere per l’omicidio del poliziotto Antonio Custrà nel maggio 1977 a Milano, nel 1986 è diventato francese e ha rinunciato alla nazionalità italiana.

30 giugno 2022 (modifica il 30 giugno 2022 | 13:25)

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, 2022-06-30 12:32:00, Giorgio Pietrostefani ha scritto saggi sulla tossicodipendenza, Marina Petrella ha lavorato come assistente sociale, Narciso Manenti fa l’artigiano, Maurizio Di Marzio ha aperto un locale, Stefano Montefiori, corrispondente da Parigi

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