Erri De Luca: «Ho le papille del Novecento. La dieta? Mi faccio consigliare solo dall’alpinismo»

Il primo libro di Erri De Luca dedicato a storie di cibo familiare, gli «spizzichi e bocconi» del titolo, l’autore napoletano, classe 1950, lo ha scritto assieme al nutrizionista Valerio Galasso. «Bravissimo, sa? Me lo ha fatto conoscere Paola Porrini Bisson, la presidente della fondazione che porta il mio nome. Quando l’ho sentito parlare mi sono reso conto che avevo tanti racconti in testa sul mondo del cibo. Così è nato il libro», racconta lo scrittore, da poco rientrato in Italia dopo aver partecipato al viaggio umanitario con Time4Life al confine tra Romania e Ucraina («E ci tornerò tra poco per un secondo viaggio — dice —: non sono neutrale tra invasore e invaso, sono un partigiano, voglio che gli ucraini resistano»). Dal «rraù» al casatiello, il nuovo libro di Erri De Luca è una raccolta di ricordi legati ai cibi che lo hanno accompagnato sin dall’infanzia intervallati dagli interventi di Galasso.

Ma lei davvero segue la dieta di un nutrizionista?

«Nooo. Io mi faccio consigliare solo dall’alpinismo. Seguo un regime che mi obbliga a stare leggero. Mi sfamo e basta».

Nel libro scrive che a mezzogiorno, se da solo, evita di sedersi.
«Il mio pasto è la cena. Ma l’usanza del pasto unico non c’entra con la montagna. È un’abitudine che mi è rimasta dopo venti anni di lavoro da operaio. A pranzo si mangiava poco per non affaticarsi nella seconda metà del turno».

Il tema della fame, comunque, è sempre lì, pronto a sbucare. Ed è ciò che colpisce leggendo la sua prima «biografia alimentare».
«In effetti è un argomento incombente, sta in tutto il libro come un rumore di fondo. Del resto la mia generazione ha sfiorato la maledizione della fame: ci si nutriva per farla passare. Pane, pizza, patate, quelli che oggi chiamiamo carboidrati, servivano per placarla. E io oggi resto un analfabeta alimentare».

E cioè?
«Sono di un’epoca alimentare antecedente a questa, basata sulla scarsa quantità e varietà. Oggi nel piatto ci sono le dosi, ci si siede a tavola per convivialità, non per appetito. Allora si beveva un vino così acido da spellare le trippe, oggi invece anche la Barbera è diventata una signora. Mi è rimasto in bocca un palato grezzo, capace di distinguere il cattivo dal buono, ma povero di sfumature intermedie. Ho le papille gustative del 1900».

Sembra di capire che per lei allora sia meglio di oggi.
«Non sono un nostalgico. A Napoli c’erano tanta mancanze, era una città di migranti, la mortalità era alta, oggi invece la vita civile è indubbiamente migliorata. Però io non vorrei abitare da giovane oggi: sono grato al fato di essere stato giovane allora».

E uno dei ricordi più forti che ha è quello del ragù della domenica di sua nonna Emma.
«Il «rraù», era un sugo che urlava, aveva un profumo che era un assalto al vertice dei sensi. Non ho temperamento mistico, ma quel poco che mi è toccato in sorte l’ho assaggiato, l’ho avuto sulla lingua, durante le domeniche d’infanzia».

E la parmigiana di melanzane?
«Il mio piatto preferito. Per questa ricetta le melanzane hanno bisogno di tre fuochi: il sole che le asciuga, il fuoco per friggerle e il forno per fonderle con gli altri ingredienti. Me la preparava sempre mia mamma. Così da quando è morta non l’ho più mangiata. La scomparsa della mamma è un dolore per tutti, ma con questo rito di astinenza è sempre presente».

Nel libro racconta di non essere ghiotto di dolciumi ma di fare un’unica concessione.
«La pastiera. Oggi la si mangia tutto l’anno, è disponibile sempre. Ma una volta la si mangiava solo a Pasqua, aveva un’aura di sacralità. E per me la sua scacchiera di pastafrolla, il ripieno di grano, il suo profumo di fiori d’arancio sono la promessa mantenuta di ogni primavera. La fine dell’inverno per me non sta nell’arrivo delle rondini, ma nell’arrivo da Napoli, in busta chiusa e l’ufficialità di un atto notarile, della pastiera spedita dal caro Mario Ferri».

Ciascuno, alla fine, lei racconta, ha un desiderio impossibile. Il suo qual è?
«Tornare a sedermi alla tavola della domenica da mia nonna Emma».

, 2022-04-17 21:26:00, «Il mio piatto preferito? La parmigiana di melanzane. Ma non l’ho più mangiata da quando è morta mia mamma». Lo scrittore napoletano intervistato in occasione dell’uscita del suo ultimo libro, Spizzichi e bocconi (Feltrinelli, 2022), scritto con il nutrizionista Valerio Galasso, Isabella Fantigrossi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Exit mobile version