Enrico Letta: «La partita è aperta: dieci giorni per riconquistare il voto dei lavoratori»

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Enrico Letta, gli ultimi sondaggi pubblici vedevano la sua coalizione in svantaggio. È ancora convinto di poter ribaltare i pronostici in questi dieci giorni? «Certo che sono convinto. Magari qualcuno ha interesse a far sembrare la partita chiusa, ma non è così. Dieci giorni di campagna elettorale con quattro italiani su dieci che non hanno ancora deciso se andare a votare, sono tanti». Per quale motivo gli indecisi dovrebbero scegliere la sua coalizione invece che quella di centrodestra? «Ci sono due visioni agli antipodi, mi sembra sia emerso chiaramente nel recente confronto con Giorgia Meloni. Noi siamo quelli della giustizia sociale, dei diritti, dell’ambiente. Loro negano l’emergenza climatica, vogliono riportare la lancetta dei diritti indietro di decenni e garantire, con la flat tax, solo chi è già garantito. La scelta è questa». Non potevate più allearvi con il M5S perché è stato considerato da voi il primo responsabile della caduta di Draghi. Non avete però commesso l’errore di accreditare Conte come il vero leader riformista, visti i sondaggi che lo danno in ascesa? «Il progressismo non si compra al supermercato, Conte non è credibile come portabandiera di quei valori. E noi su salario minimo, scuola, contrasto alla precarietà, politiche per la casa e misure incisive su bollette e carovita, abbiamo messo in campo proposte chiare e nette per sostenere famiglie e aziende in difficoltà». Se la scelta è stata quella di proporre un’alternativa più ampia possibile per arginare la vittoria della destra, perché non imbarcare anche il M5S? «Non funziona così, ci vogliono linearità e rispetto. Non tanto per me quanto per gli elettori. Abbiamo stravinto due tornate amministrative difficili con la serietà e la coerenza. Ma di coerenza da parte di Conte ne ho vista molto poca in questo periodo». Parliamo di alleanze: che cosa non ha funzionato con Calenda? «Direi che non ha funzionato Calenda, che un giorno sigla un accordo e dopo tre giorni lo straccia in tv, mentendo clamorosamente. Emma Bonino lo ha detto come meglio non si potrebbe “mai visto una giravolta più immotivata e truffaldina”». La mancata alleanza con Calenda ha ridato vita anche a Italia Viva, che da sola avrebbe faticato per raggiungere il quorum. «Guardi, non è nostro interesse distruggere altri partiti, ma è quello che loro vorrebbero fare al Pd. Non ci riusciranno. Noi diciamo che con questa pessima legge elettorale, voluta da Renzi e Rosato, ogni voto che non va al centrosinistra e al Pd è un voto che aiuta la destra. Ed è un dato incontrovertibile». In tutta onestà, come avrebbero potuto coabitare Calenda e Fratoianni in una stessa coalizione? Nelle proposte che presentano non esiste un solo punto in comune. «I punti in comune si trovano con il confronto e la serietà, se si usano le differenze per creare muro contro muro, chiaramente le soluzioni non si trovano. Detto questo suggerirei di porre la stessa domanda a destra su politica fiscale, posizionamento internazionale e immigrazione. Le daranno tre risposte diverse. Siamo al punto che Salvini ormai attacca frontalmente la Meloni anche sullo scostamento di bilancio». Che cosa pensa quando l’accusano di avere già un accordo sottobanco con Conte per il post elezioni? «O vinciamo noi o vince la destra. Non ci sono altre possibilità di governi. Con questa legge elettorale che attribuisce circa il 30% dei seggi in Parlamento nei collegi uninominali o passa il candidato del centro sinistra o quello della destra». E che cosa pensa quando dicono che addirittura lei e Giorgia Meloni sareste molto meno lontani di quanto non si immagini? «Che avere un confronto duro nei contenuti ma civile nei toni non significa avere vedute comuni. Come ho già detto, con Giorgia Meloni siamo agli antipodi su tutto». Si imputa qualche errore nella conduzione della campagna elettorale? «In campagna elettorale il punto principale è far capire le proprie proposte ai cittadini. E noi siamo netti: voglio soffermarmi su due temi per me fondamentali, lavoro e bollette. Sul lavoro proponiamo contrasto al precariato, ritorno al contratto a tempo indeterminato come strumento principale e subito salario minimo: mai più sotto i 9 euro all’ora. Inoltre il taglio dei contributi per dare ai lavoratori più in difficoltà fino a una mensilità in più all’anno per fare fronte all’aumento dei prezzi. Sulle bollette, diciamo che si possono dimezzare grazie a interventi a livello nazionale ed europeo. E proponiamo il contratto “bolletta luce sociale” che può fornire alle famiglie a reddito medio e basso e alle microimprese metà dell’energia a costo zero, da fonti rinnovabili». Calenda ha detto: «Quando ho rotto con Letta ho provato dolore ma poi, visto come sta conducendo la campagna elettorale, sollievo». «Se stiamo dietro alle volte che Calenda mi ha citato in campagna elettorale non ne usciamo. Lui si sveglia la mattina e twitta compulsivamente contro qualcuno, è una specie di bisogno interiore. In questa sua fase emotiva sono io il suo bersaglio. Ha perfino ripreso fake news volgari senza verificare. Non dispone di senso del controllo, ma questo lo sapevamo. Basta ignorarlo». Non crede sia stato un autogol basare la parte iniziale della campagna sul «pericolo destra»? Non avete corso il rischio di dare dei «fascisti» almeno al 30 per cento degli elettori? «Non abbiamo dato dei fascisti, abbiamo detto una cosa diversa. Eviterei banalizzazioni su questo tema. Se il modello di famiglia della destra è quello di Orban, si rischia di tornare indietro sui diritti. E noi vogliamo andare avanti. Se in politica internazionale la posizione sulle sanzioni alla Russia è quella di Salvini, ci si allontana dell’Europa. E noi ci vogliamo restare da protagonisti». È davvero convinto che l’Italia perderebbe credibilità in caso di vittoria del centrodestra? «Si, la credibilità di questa destra in Europa è già molto bassa, basta pensare alla considerazione di cui godono Berlusconi e Salvini. E quando Meloni dice di voler ridiscutere il Pnrr a Bruxelles si guardano attoniti, perché significa perdere i soldi». La possibilità che la vittoria del centrodestra sia di una portata tale da avere i numeri per modificare la Costituzione senza bisogno di referendum sembra esclusa dagli ultimi sondaggi. Lei però continua a sventolare questo pericolo. Crede davvero che ci possa essere una sconfitta così schiacciante? «Io non credo — lo ripeto — che la partita sia chiusa e a maggior ragione non credo alla possibilità di una sconfitta netta. Ho voluto solamente chiarire quello che a livello ipotetico potrebbe accadere». Il Pd e la Toscana: questa regione è considerata la roccaforte del partito, ma forse mai come questa volta è contendibile. Sette provincie su dieci sono amministrate dal centrodestra. Dalla Toscana può partire la riscossa del Pd, o la regione rischia di essere il segnale della sconfitta? «I sondaggi due anni fa davano la Toscana in mano al centrodestra e invece abbiamo vinto con il presidente Giani. Nella prossima tornata amministrativa puntiamo a vincere tre Comuni come Pisa, Siena e Massa. Quindi sì, alle elezioni del 25 settembre in Toscana faremo un ottimo risultato». In Toscana la questione «paracadutati» è stata molto sentita, con bocciature eccellenti e molti candidati venuti da fuori territorio. «Sono convinto che le liste in Toscana valorizzino molte figure radicate e credibili nei territori. Le segnalo poi che questa domanda mi viene rivolta in tutta Italia e ancora una volta devo dirle che è il meccanismo elettorale che non funziona. E sottolineo con forza che il Pd è l’unico partito che le liste le discute e le vota in direzione». Sulle infrastrutture in Toscana si gioca anche una buona fetta di consensi nazionali. Sul rigassificatore a Piombino la stessa Meloni è in imbarazzo con il sindaco di FdI. Il Pd invece ha sempre avuto una posizione chiara su questo. I suoi alleati Fratoianni e Bonelli però la pensano in modo opposto. «Il balletto dentro FdI tra il sindaco di Piombino, Ignazio La Russa e infine Giorgia Meloni mi sembra si commenti da solo. Per quanto riguarda il Pd la posizione è quella espressa più volte dalla segretaria regionale Bonafè e quella dell’amministrazione Giani. Il rigassificatore di Piombino si deve fare e rientra in un piano nazionale che affronta i temi delle forniture di gas e del costo delle bollette. Il punto è non fingere che Piombino sia un’area come tutte altre. Non basta parlare di compensazioni genericamente, serve un decreto ad hoc, fatto di impegni seri e cronoprogramma, ci sono anni e anni di errori e trascuratezza della politica nazionale da sanare. Se penso alle rassicurazioni tradite di Renzi premier sulle bonifiche e sulla rigenerazione del territorio mi sento di chiedere scusa ai cittadini, anche se io ero distante centinaia di migliaia di chilometri allora». La Sinistra è anche contraria alla nuova pista dell’aeroporto di Firenze. Che succede se vincete voi le elezioni e queste due anime devono confrontarsi? «Noi siamo convinti che territorio e cittadini siano consapevoli dell’importanza dell’ampliamento della pista dell’aeroporto e della necessità di un polo aeroportuale integrato con Pisa, questa è sempre stata la posizione chiara del Pd toscano e fiorentino. Anche qui, la strada è quella del confronto senza steccati, che va affrontato in particolare con i territori e questo lo ha ribadito anche Nicola Fratoianni». Nelle Case del Popolo ci sono elettori storici del Pd che dicono di essere pronti a cambiare partito perché «il Pd non è più il partito dei lavoratori». Che cosa risponde? «Guardi, io vedo una grande mobilitazione dei nostri iscritti ovunque vado e in Toscana a maggior ragione. Per quanto riguarda la vicenda del circolo Vie Nuove so che sulle pagine del suo giornale avete avuto un confronto con il segretario Leonardo Dolfi e non penso di dover aggiungere altro. Invece voglio dire che con le proposte nette e incisive che ho già illustrato su taglio del costo del lavoro e quindi salari più alti, salario minimo, stop precarietà e il superamento del Jobs act, puntiamo proprio a riconquistare la fiducia di tante lavoratrici e lavoratori». La battuta goliardica sulla rivalità tra la sua Pisa e Livorno ha suscitato qualche discussione, per la verità più fuori dalla regione che in Toscana, dove gli sfottò tra le due città sono un’abitudine. «Lo ha detto lei, parliamo di una battuta goliardica. Non penso di dover aggiungere altro perché tra toscani ci capiamo al volo». Che Italia spera di trovare il 26 settembre? «Un’Italia pronta ad andare avanti e non costretta a guardare indietro. Non è una speranza, è un obiettivo che si può raggiungere in questi dieci giorni». LEGGI ANCHE LE ALTRE INTERVISTE AI LEADER La newsletter Se vuoi restare aggiornato sulle notizie di Firenze iscriviti gratis alla newsletter del Corriere Fiorentino. Arriva tutti i giorni direttamente nella tua casella di posta alle 12. Basta cliccare qui 16 settembre 2022 | 06:45 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-09-17 16:16:00, Intervista al leader del Pd: «Io e Meloni? Abbiamo due visioni agli antipodi. E su ogni cosa, a destra danno tre risposte diverse. Conte? Il progressismo non si compra al mercato»,

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