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Educazione musicale: sicuri che due ore a settimana di flauto bastino ad educare all’ascolto? INTERVISTA ad Andrea Malvano

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Musica. Il grande tabù della scuola italiana. Almeno di quella secondaria di secondo grado dove la musica è presente solo nei licei musicali e nei coreutici. Peccato. Per un Paese conoscuto nel mondo come la patria dei più grandi compositori è davvero un grande peccato.

Nella scuola secondaria di primo grado, oltre che nelle smim, le scuole medie a indirizzo musicale, la musica si fa e, nelle scuole non-smim, non sempre nel modo migliore possibile. Siamo sicuri che le due ore settimanali trascorse con un flauto in bocca o studiare la storia della musica o la teoria musicale, riescono a educare i ragazzi all’ascolto consapevole di un brando? Per riempire questo vuoto la Fondazione Agnelli e l’associazione De Sono hanno presentato a Torino, nella Sala dei 500 del Lingotto, Livemotiv, un progetto pluriennale di educazione all’ascolto della musica che si rivolge ai docenti e agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado in tutta Italia, proponendo workshop dal vivo, nella forma di lezione-concerto, con la presenza di giovani strumentisti o ensemble corali.

Questa lacuna del nostro sistema scolastico si riflette sulla formazione culturale degli studenti, sulla loro capacità di formarsi un’autonomia critica nell’ascolto della musica, sul poco ricambio di pubblico delle stagioni musicali. Attraverso un workshop di circa un’ora e mezzo, che abbiamo seguito, Livemotiv parte dalle basi del linguaggio della musica classica, strumentale e vocale per mostrarne i legami con il repertorio pop, rock e rap. E per catturare l’attenzione dei ragazzi, spiegano gli organizzatori, si avvale della partecipazione di musicisti giovani o giovani ensemble corali, spesso di poco più grandi degli studenti a cui si rivolgono. Il progetto, completamente gratuito, nei prossimi anni si propone di visitare e coinvolgere un gran numero di scuole superiori in tutta Italia, con un’attenzione particolare ai territori dove la diffusione della musica classica è più difficile.

John Elkann, presidente della Fondazione Agnelli, spiega che “la musica classica parla un linguaggio universale e, quando diventa accessibile, regala a tutti scoperte sorprendenti. Livemotiv vuole dare un aiuto per condurre a un ascolto privo di pregiudizi, più consapevole e coinvolgente – ha detto Sono sicuro che Gianluigi Gabetti, con il suo amore per la musica e la sua attenzione alla formazione, avrebbe apprezzato un progetto che pone le basi perché gli studenti sviluppino una passione per i tutti i generi musicali.” “Dopo quasi 35 anni dedicati alla formazione dei musicisti, la De Sono, grazie alla collaborazione con la Fondazione Agnelli, ha avvertito la necessità di formare anche gli ascoltatori. – aggiunge il direttore artistico della De Sono, Andrea Malvano, che intervistiamo qui di seguito – A scuola l’educazione all’ascolto resta una disciplina poco frequentata: generalmente si privilegia un’attività pratica, che lascia competenze molto deboli negli studenti. Non studiamo però Manzoni o Leopardi per diventare buoni scrittori; piuttosto lo facciamo per diventare buoni lettori. Lo stesso discorso andrebbe applicato in maniera sistematica alla musica, che ha bisogno, soprattutto nella società contemporanea, di buoni fruitori, che sappiano godere in maniera consapevole di composizioni classiche. Il ciclo di lezioni-concerto, moderate da esperti in divulgazione musicale, si pone questo obiettivo, cercando di favorire il dialogo tra le classi coinvolte e giovani interpreti”.

Secondo la Fondazione Agnelli, “questa lacuna del nostro sistema scolastico si riflette sulla formazione culturale degli studenti, sulla loro capacità di formarsi un’autonomia critica nell’ascolto della musica, sul poco ricambio di pubblico delle stagioni musicali. Attraverso un workshop di circa un’ora e mezzo Livemotiv parte dalle basi del linguaggio della musica classica, strumentale e vocale per mostrarne i legami con il repertorio pop, rock e rap. Grazie anche alla partecipazione di musicisti giovani o giovani ensemble corali, spesso di poco più grandi degli studenti a cui si rivolgono e con i quali spesso condividono linguaggio, interessi e passioni, comunicando in modo diretto il loro percorso nella musica. Gli strumentisti, principalmente ex borsisti sostenuti dalla De Sono, suonano e spiegano musica, lavorando per temi conduttori e proponendo agli studenti un’esperienza di dialogo per capire insieme come l’ascolto possa arricchirci. Il progetto è completamente gratuito e nei prossimi anni si propone di visitare e coinvolgere un gran numero di scuole superiori in tutta Italia, con un’attenzione particolare ai territori dove la diffusione della musica classica è più difficile, unendo proposta educativa a sfida sociale. Si prevede inoltre di instaurare contatti con gli enti concertistici locali, per favorire l’avvicinamento dei giovani alle stagioni cameristiche, sinfoniche e corali delle città coinvolte”.

Andrea Malvano: “E’ più importante formare dei buoni ascoltatori che dei cattivi o medioci musicisti”

Intanto un appello al governo, ai governi: “Che introduca la musica e la storia della musica nella scuola secondaria di secondo grado. Come si fa con la storia dell’arte si deve fare con la musica. Quando si studia un periodo storico occorre far conoscere esempi di quel periodo e allora occorre fare soprattutto educazione all’ascolto”. Andrea Malvano, direttore artistico della De Sono, e docente universitario di Storia della musica, è infatti convinto che sia “più importante formare dei buoni ascoltatori che dei cattivi o medioci musicisti”. E su questo fronte la scuola avrebbe delle enormi potenzialità, con grandi ricadute culturali per il Paese. Non studiamo Manzoni o Leopardi per diventare buoni scrittori: “piuttosto lo facciamo per diventare buoni lettori. Lo stesso discorso andrebbe applicato in maniera sistematica alla musica, che ha bisogno, soprattutto nella società contemporanea, di buoni fruitori, che sappiano godere in maniera consapevole di composizioni classiche”. Ma non è finita: la musica a scuola potrebbe debellare il fenomeno del bullismo: “Quando si fa musica in orchestra – ne è sicuro Malvano –il messaggio che viene mandato è che non esiste l’io ma c’è il noi”. Non c’è l’avversario, che invece c’è nello sport, ma c’è la bellezza come obiettivo tra introiettare e da trasmettere. E di fronte alla bellezza, aggiungiamo noi, non c’è bullismo che riesca ad attecchire. Nella sua lezione al Lingotto, Malvano ha preso un flauto, uno di quelli che tutti gli studenti devono comprare e usare a scuola media, lo ha smontato e lo ha gettato nella pattumiera, invitando tutti coloro che ne avessero ancora uno dalal scuola media a fare altrettanto. “L’unica cosa buona del Covid”, ha detto alla platea, “è che non si è potuto usare il flauto, perché spara saliva”. Ma non è certo il flauto in sé l’indagato principale nel processo all’educazione musicale, né la provocazione di Malvano, quanto piuttosto la logica che sta dietro all’impostazione della formazone musicale a scuola: “La scuola italiana non ha ancora ben capito – insiste Malvano – che non serve fare dei cattivi musicisti. Con quella cosa lì (ancora il flauto) dopo tre anni arivi al massimo a suonare Fra’ Martino, male, alla domenica, e non ce ne frega niente. Quello che serve invece è creare dei buoni ascoltatori, cominciare a lavorare sull’ascolto: questo è il nostro obiettivo con queste lezioni concerto e lo facciamo per temi”. Ad esempio partendo dalla tonalità, con cui Malvano ha dato avvio alla sua lezione al Lingotto.

Direttore Andrea Malvano, abbiamo assistito alla sua lezione al Lingotto, di educazione all’ascolto della musica. Una lezione coinvolgente, formativa, applaudita dagli studenti che chi ama la scuola vorrebbe fosse riproposta, da parte di tanti professori e divulgatori nelle nostre aule scolastiche, tutte le mattine. E invece dobbiamo iniziare questa intervista parlando di educazione musicale come buco nero della scuola italiana.

“Il problema non è tanto la musica in sé, quanto l’educazione all’ascolto. La musica alla primaria e alla secondaria di primo grado si fa, ci sono dei corsi curriculari. Però manca un sistematico lavoro sull’educazione all’ascolto. A scuola si fa più un avviamento alla pratica musicale, molto superficiale. Anche importante, perché si suona assieme, ma è più importante formare dei buoni ascoltatori che dei cattivi o mediocri musicisti. A scuola si suona il flauto, e suonare il flauto qualche base musicale ce la dà ma sarebbe importante confrontarsi con dei capolavori grandi del repertorio, occidentale e non, e imparare ad ascoltarli, con un ascolto consapevole e attivo. Invece noi siamo abituati ad ascoltare passivamente la musica. Nella società italiana c’è un problema con l’ascolto della musica. Io in genere faccio una domanda agli studenti durante le lezioni: quando ascoltate la musica? La risposta è: sempre. In metro, sotto la doccia, quando ci prepariamo, quando leggiamo, quindi tendenzialmente si ascolta la musica quando si fa altro. E insisto: ma voi andreste al cinema per leggere un libro? Forse si riuscirebbe a fare una cosa ma non l’altra. E magari la musica ci fa concentrare meglio su un’altra cosa che stiamo facendo ma certo non sulla musica che stiamo ascoltando. Dunque, la musica rimane un sottofondo e questo è un problema della società contemporanea che ci bombarda di musica, non richiesta, continuamente e quindi andiamo al supermercato e c’è la musica, al bar e c’è la musica, al ristorante e c’è la musica, aspettiamo di parlare con l’operatore del call center e c’è la musica… E allora, insisto sempre con gli studenti, siamo portati ad ascoltare la musica in maniera passiva: la subiamo e invece vi assicuro che nessun compositore al mondo, da Vivaldi ad Achille Lauro, ha scritto musica perché fosse ascoltata passivamente. Ci dev’essere un messaggio che deve arrivare a chi ascolta e dunque dobbiamo isolarci e cercare di ascoltare in maniera attiva qualunque musica che decidiamo di ascoltare. Ed è per questo che abbiamo inventato questo ciclo di lezioni rivolte alle scuole italiane”.

Perché succede tutto questo?

“Questa è una domanda difficile. Succede soprattutto in Italia, dove si è codificato anche a scuola un interesse più verso la pratica musicale che non verso l’ascolto. Ci interessa più imparare a suonare una semplice melodia che ascoltare una sinfonia di Beethoven o una canzone di De André”

E’ stato sempre così?

“Difficile da dire anche questo. Tutto arriva da riforme scolastiche ormai storiche che hanno portato a eliminare totalmente la musica dal percorso delle superiori. Nella scuola secondaria di secondo grado la musica c’è solo nei licei musicali e coreutici. A quell’età si sviluppa la capacità di capire i grandi capolavori artistici e quello è il momento in cui la musica scompare dalla scuola. Il nostro progetto si propone di inserire la musica alle superiori”.

Che cosa ci si perde a non ascoltare la musica in maniera consapevole?

“Si perde la capacità di capire capolavori conosciuti in tutto il mondo. Noi italiani siamo famosi in tutto il mondo per i nostri compositori. Se noi non abbiamo le capacità di capire i nostri capolavori culturali perdiamo un collegamento con la nostra identità culturale”.

Miopia o spreco inconsapevole?

“Non lo so, ogni volta che cambia un governo si parla di introdurre a scuola la storia della musica. Anche l’ultimo governo gialloverde aveva avviato un progetto simile ma poi non va mai nulla in porto perché evidentemente si ritiene che sia un problema secondario, ma non lo è. Non lo è perché se noi non formiamo dei buoni ascoltatori si vuotano le sale da concerto. Bisogna fare una politica di riciclo del pubblico e quindi attraverso un’attività di educazione. Ma questa purtroppo non passa dalla scuola, passa dagli enti sinfonici che fanno quel che possono”.

Lei dice che non studiamo Manzoni o Leopardi per diventare buoni scrittori, piuttosto lo facciamo per diventare buoni lettori e così dovrebbe essere per la musica. E’ così?

“E’ così. Portano tutti uno strumento da casa, mentre è più importante lavorare in maniera attiva, cercare di interpretare la musica come facciamo con Dante o Leopardi. E’ la stessa cosa. Alla media si fanno due ore alla settimana ma non è che si faccia granché. Non è che siano importanti la teoria musicale e l’armonia, servirebbe proprio imparare ad ascoltare, quanto meno a essere concentrati anche attraverso metafore a descrivere la musica che si sta ascoltando”.

Ci sono delle tecniche e delle metodologie?

“Certo. Una metodologia è ad esempio quella di fare un ascolto segmentato o per indizi, cioè quella di cercare di suddividere il brano musicale in varie parti, analizzando ogni singola parte e mettendo in evidenza gli aspetti salienti, e poi vedere come quegli indizi si trasformano nel pezzo. Come per le opere pittoriche. Pensi a un film, prendi una sequenza e cerchi di far capire quel che il regista voleva esprimere. Se non si fa questo la musica diventa un sottofondo”.

Il vosto è un progetto meritorio. Ma come potrebbe mai un workshop dal vivo, nella forma di lezione-concerto, pur con la presenza di giovani strumentisti o ensemble corali, a colmare tutte le lacune descritte?


“L’intenzione è quella di tornare più volte nelle scuole per creare un percorso. L’idea è quella di creare interesse nei confronti di un repertorio e la consapevolezza che la musica classica non è così lontana da quella di oggi. Bisogna cercare di mettere in evidenza come tutto sia collegato. Non è che il rap nasce dal nulla. Nasce dalla ricerca che da più di 500 anni si fa sul rapporto tra musica e parola. Io non snobbo il rap, che è una forma di rappresentazione culturale di un pensiero legato ad aree geografiche ben precise, nasce dal melodramma. Non mi piace la differenza tra musica colta e musica popolare. Esiste, certo, una musica più complessa, però questo non vuol dire che esistono musica di serie A e musica di serie B. C’è tutta una tradizione orale, legata al folclore, che molto spesso è più rappresentativa di un’identità culturale rispetto a un repertorio che passa dalla sala dei teatri, la quale non è sempre rappresentativa di una realtà culturale”.

Educazione all’ascolto come formazione completa dei nostri ragazzi?

“Assolutamente sì. Anche una tarantella è interessante per spingere a educare su come si ascolta una tarantella e su quale sia la storia di questa musica, su quali siano i collegamenti che si possono fare con altri repertori. Rossini ad esempio ha scritto delle tarantelle: e dove le ha conosciute? Le ha conosciute per strada, e poi le ha portate nella sua musica e nelle sue opere, facendo le dovute trascrizioni”.

Va bene, mi ha convinto: lanci dunque un appello al governo

“Intanto che cia sia finalmente la musica nella scuola secondaria di secondo grado e che vi s’introduca la storia della musica. Come si fa con la storia dell’arte si deve fare con la musica. Quando si studia un periodo storico occorre far conoscere esempi di quel periodo e allora occorre fare educazione all’ascolto.

Ma avremmo davvero a sufficienza dei buoni divulgatori tra gli insegnanti per raggiungere questo obiettivo?

“Ho presieduto la Commissione per il concorso straordinario per docenti di Educazione musicale e mi rendo conto che c’è un problema di formazione”.

Ora entriamo in classe, confrontiamoci con qualche problema. L’educazione all’ascolto della musica e dunque l’educazione alla bellezza potrebbe aiutare la scuola italiana nella lotta contro il bullismo?

“La domanda è appropriata. Quando si fa musica in orchestra il messaggio che viene mandato è che non esiste l’io. C’è il noi. Si lavora insieme per lo stesso obiettivo che è trasmettere la bellezza. E ovviamente questo limita, obbliga a superare le discriminazioni sulla bravura o sulle capacità. Questo aspetto c’è anche nello sport ma lì c’è il problema dell’avversario e questo spinge a fare discriminazioni mentre in musica l’avversario non c’è. In musica si fa squadra non per combattere qualcuno ma per trasmettere benessere. Peraltro, gli effetti terapeutici della musica sono studiati. Poi, certo, ci sono delle esagerazioni: si pensava che la musica di Mozart fosse salvifica per le donne che dovevano partorire. O che facesse diventare più intelligenti. La musica trasmette delle emozioni e scatena le endorfine e il suonare insieme è un microcosmo di una società perfetta dove si annullano le differenze per ottenere un obiettivo comune”.

Per potere fruire gratuitamente nel proprio istituto dell’esperienza Livemotiv, le scuole secondarie di II grado devono scrivere a: [email protected]

, 2022-04-17 06:00:00, Musica. Il grande tabù della scuola italiana. Almeno di quella secondaria di secondo grado dove la musica è presente solo nei licei musicali e nei coreutici. Peccato. Per un Paese conoscuto nel mondo come la patria dei più grandi compositori è davvero un grande peccato.
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