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Dopo un mese si intravede  un punto di equilibrio

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MARTEDÌ 22 MARZO 2022

risponde Aldo Cazzullo

Caro Aldo,

c’era una volta la «Cortina di Ferro», il mondo era contrapposto in due blocchi a seguito degli accordi di Yalta. Da più di 30 anni la Cortina non esiste più, gran parte dei Paesi europei ha scelto la democrazia, abbiamo l’autodeterminazione. Una realtà che Putin non sembra tenere in grande considerazione. Ora cercare di trovare una via d’uscita sembra difficile, Putin se tornasse indietro forse vedrebbe incrinato il suo potere. Ma secondo lei, vista la diplomazia che sta lavorando su tutti i fronti, si riuscirà a trovare una strada per la pace? O è solo una utopia?

Marco Nagni Falconara Marittima (An)

Caro Marco,

Una via d’uscita andrà pur trovata. La battaglia di Mariupol conferma che l’Ucraina non può resistere a lungo in campo aperto all’esercito russo; può pensare di logorarlo con l’imboscata e con la guerriglia. E Putin non ha alcun interesse a farsi logorare sine die, senza sapere se e quando finirà. Forse si comincia a intravedere un punto di equilibrio, sia pure parziale e instabile. Putin potrebbe accontentarsi di conquistare la striscia che congiunge la Crimea al Donbass, facendo del mare d’Azov un mare russo, ma lasciando Zelensky al potere. In questo modo entrambi potranno sostenere di aver vinto: Putin aggiungerebbe al suo immenso Stato un pezzo di Ucraina; Zelensky salverebbe l’indipendenza della gran parte del suo Paese, oltre che il posto e la pelle. Sarebbe comunque un’ingiustizia. E non sarebbe una soluzione, ma un compromesso: una pace armata, uno stallo non certo indolore — ci sono posti nel Mediterraneo, dal Kosovo al Libano, dove senza una forza di interposizione internazionale le ostilità riprenderebbero il giorno dopo —, ma preferibile alla strage quotidiana cui assistiamo con sgomento. Se invece Putin non si accontenterà, e continuerà ad attaccare, nella speranza di ottenere una conquista simbolica — Kiev e Odessa — se non di deporre Zelensky e instaurare un governo fantoccio, allora davvero i tempi si prolungherebbero ancora, e potrebbe accadere qualsiasi cosa, a Kiev come a Mosca. Ma nessuna persona raziocinante si augurerebbe uno scenario del genere.

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Storia

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Caffè, biscotti e telegiornale locale delle Marche: la mia colazione. Ancora addormentato e con il segno del cuscino sulla guancia guardo il primo servizio. Intervistano una ragazza, bella, bionda con due occhi di ghiaccio. Sta raccontando gli orrori del suo Paese. A migliaia sono fuggiti in modo rocambolesco prendendo una valigia al volo, stipati in pullman insieme ad altri disperati. Lei ha preferito guidare l’auto, due giorni senza fermarsi dall’Ucraina a Civitanova Marche attraverso i confini della Slovacchia. Piange durante la videochiamata con l’amica rimasta a Kiev. Alla frase «Aiutateci, vi prego!», invece del biscotto butto giù un magone. Il giorno dopo io e il mio magone andiamo a fare la spesa da donare ai rifugiati ucraini. Ho la lista dei prodotti richiesti. Con sicurezza metto nel carrello cibo in scatola, medicinali e omogeneizzati. Penso che è la prima volta che faccio qualcosa per chi soffre lontano da casa mia. Non lo feci per il popolo della Bosnia ed Erzegovina, della Siria, per i popoli dell’Africa e per tutti quelli falcidiati dalla follia umana. Ma questa, mi dico, è la guerra della grande e potente Russia, quella che ci toglie il gas, che ci lascia al freddo, quella dei missili nucleari. Non è una delle solite guerre in corso da anni, davanti alle cui notizie, lo ammetto, ormai giro pagina. Eppure, devo iniziare a capirlo, tra guerre e guerrette non c’è differenza. Kalashnikov, machete, tritolo o bombe termobariche, dopo il loro passaggio quello che rimane è solo silenzio.

Matteo Nepi

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, 2022-03-21 23:50:00, , Aldo Cazzullo

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