Donatella, 27enne suicida in cella. Il giudice: «Anch’io ho fallito, il carcere non è per le donne»

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di Laura Tedesco

Il magistrato di Sorveglianza Vincenzo Semeraro seguiva Donatella da 6 anni: «Ho pianto abbracciando il padre… Mi chiedo cosa avessi potuto fare di più per lei? Non ho capito che il malessere era divenuto profondo»

«Siamo persone prima che giudici. E io, come magistrato ma soprattutto come uomo, sento di aver fallito adesso che una ragazza di 27 anni di cui mi occupavo dal 2016, si è tolta la vita in carcere».

Vincenzo Semeraro è il giudice di Sorveglianza del Tribunale di Verona che ha scosso le coscienze scrivendo una lettera che è stata letta in chiesa durante i funerali di Donatella Hodo, giovane che lottava contro problemi di dipendenza da stupefacenti e una grande fragilità. Usciva e rientrava in cella di continuo per alcuni furti legati alla droga, si è lasciata morire la notte del 2 agosto inalando del gas dal fornelletto in cella.

Perché si sente in colpa, giudice Semeraro?

«È da una settimana, da quando Donatella ha attuato il suo tragico gesto, che continuo a pormi mille interrogativi. Dove ho sbagliato, in che cosa? Ogni volta che una persona detenuta in carcere si toglie la vita, significa che tutto il sistema ha fallito. Nel caso di Donatella, io ero parte del sistema visto che seguivo il suo caso da sei anni. Quindi, come il sistema, anche il sottoscritto ha fallito».

In che cosa crede di aver sbagliato?

«Sono proprio questi i dubbi che mi affliggono. Cosa avrei potuto fare di più per questa ragazza? Forse l’ultima volta che sono andato a farle visita nel penitenziario, a giugno, avrei potuto dirle due parole in più? Perché, nonostante la conoscessi da quando aveva 21 anni, non ho captato che il malessere era divenuto così profondo?».

Donatella aveva un passato difficile.

«Alle spalle aveva vicissitudini pesanti come macigni. Per andare avanti si era costruita una corazza, voleva sembrare forte ma in realtà celava una sensibilità estrema. Era fragile come un cristallo».

Ne parla come uno psicologo, non solo come un giudice…

«Il punto secondo me è proprio questo. Quando sei magistrato dell’Esecuzione e gestisci le varie vicende carcerarie e detentive, non hai a che fare solo con un detenuto ma innanzitutto con una persona. Uomini, donne con storie diverse. Non vanno trattati come numeri, come pedine di un ingranaggio, ma come individui differenti l’uno dall’altro. Sono persone, certo recluse in cella, ma pur sempre persone».

Donatella che persona era?

«Mi crede se le confesso che ho impiegato anni prima di instaurare con lei un vero dialogo? Sembrava invalicabile dietro quel muro che si era eretta, solo a marzo di quest’anno credo di aver installato con lei una connessione, in quel momento Donatella ha capito di potersi fidare di me».

A marzo era stata trasferita in comunità.

«Infatti, avevo fatto in modo che uscisse dal carcere perché la cella non era il posto idoneo per lei. Purtroppo poi era scappata, tornando quindi lì. A breve era in arrivo per lei una misura alternativa con affidamento terapeutico al Sert, doveva solo pazientare un po’. Purtroppo la sua fragilità ha preso il sopravvento nella solitudine di quella cella».

Perché «il carcere non era il posto idoneo» per questa giovane donna?

«Aveva bisogno di un adeguato sostegno psicologico, un servizio di supporto che l’intero sistema non riesce a garantire non solo nel carcere di Verona ma in tutti i penitenziari d’Italia. Le strutture detentive non sono a misura di donna, le detenute vanno approcciate in modo totalmente diverso, hanno un’emotività che non ha nulla a che fare con quella maschile. Vanno seguite in modo specifico e del tutto peculiare. Per Donatella ciò non è avvenuto».

Dopo i funerali lei ha voluto incontrare privatamente il papà di Donatella.

«Ci siamo abbracciati, piangevamo entrambi. Tutti e due ci sentiamo in colpa, io come giudice, lui come genitore. Ciascuno ha detto all’altro di farsi forza, è stato toccante. Ma il momento più lacerante è stato quando il papà di Donatella mi ha ringraziato, perché sua figlia gli parlava di me come di un secondo padre. Da brividi».

10 agosto 2022 (modifica il 10 agosto 2022 | 07:42)

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, 2022-08-10 13:10:00, Il magistrato di Sorveglianza Vincenzo Semeraro seguiva Donatella da 6 anni: «Ho pianto abbracciando il padre… Mi chiedo cosa avessi potuto fare di più per lei? Non ho capito che il malessere era divenuto profondo» , Laura Tedesco

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