Disturbi dellapprendimento, casi quintuplicati: i docenti non bastano, cè bisogno di assistenti specialistici. Un esempio pratico. INTERVISTA al docente Enrico Mansueti

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Qual è il valore dell’assistenza specialistica nel processo di integrazione ed inclusione a scuola? Ne abbiamo parlato con il Professor Enrico Mansueti, docente di chimica specializzato per le attività di sostegno e tutor TFA presso l’IIS di Ceccano (FR).

Professor Mansueti, cresce il numero degli studenti con Disturbi Specifici dell’apprendimento a scuola. Un dato che dovrebbe essere allarmante, ma che se letto con maggiore attenzione denota come ci sia una maggiore sensibilità e conoscenza verso questi disturbi. Ma questo aumento richiede un supporto maggiore di personale specializzato, in questo contesto si inserisce la figura dell’assistente specialistico. Quanto è importante per voi insegnanti di sostegno la collaborazione degli assistenti specialistici.

È certamente molto importante, poi ogni Istituto scolastico calibra la propria offerta formativa come ha fatto anche il nostro Istituto, del quale abbiamo già parlato in una precedente intervista con voi di Orizzonte Scuola alla quale era presente anche la Dirigente Scolastica, la professoressa Alessandra Nardoni. Detto questo, bisogna dire che i dati di cui parlava sono importanti, perché i dati dell’ultimo rapporto disponibile inviato dal Ministero, che prendono in esame un arco di tempo di circa dieci anni, ci dicono che abbiamo più che quintuplicato i casi di DSA passando dallo 0.9% al 4,9%, valori riferiti al luglio 2022. Questi dati riguardano prevalentemente la dislessia, per il 40%, e poi a seguire, con valori che grossomodo si equivalgono per il restante 60%, la disgrafia, la discalculia e la disortografia.

È un dato importante che merita attenzione a livello generale e che, sebbene si siano affinati i metodi di rivelazione, ci deve portare a riflettere su questo valore. Analizzando poi i dati scorporati mi sono reso conto che, ad esempio, per il nordest abbiamo avuto un importante aumento di diagnosi, più del doppio, nel passaggio dalla scuola primaria alla scuola secondaria, ma è un dato che vale un po’ per tutto il contesto nazionale. Questo ci deve far riflettere perché nella scuola secondaria la complessità maggiore dei programmi probabilmente permette di verificare meglio questo tipo di disturbi, però è forte il sospetto che non si faccia abbastanza sui gradi inferiori di scuola, soprattutto alla luce di teorie che suggeriscono di non dare più compiti o esercitazioni a casa. Poi c’è un altro aspetto sul quale andrebbe posta attenzione, di cui lei ha parlato anche con il Professor Novara, ovvero l’eccesso di permissività verso i dispositivi multimediali, che a mio avviso rappresentano un forte limite per quella che è la capacità di sintesi e di astrazione che, come dice sempre Novara, sono la prova di una orfanità strumentale.

Questo accade perché probabilmente il docente non ha sufficienti strumenti pedagogici, o comunque non ne è abbastanza padrone, per cui si delega agli strumenti multimediali un po’ troppo. Quindi è importante analizzare i dati totali anche alla luce di un quadro più complesso. In questo contesto l’assistente specialistico sicuramente è utile, però ogni Istituto deve calibrare e mirare l’intervento secondo il proprio obiettivo, perché l’assistente specialistico è una risorsa può fare molto. Per quanto riguarda la Regione Lazio recentemente è uscito il bando relativo all’assistenza specialistica per il prossimo anno scolastico con risorse pari a circa 30 milioni di euro, però l’impiego nello specifico dipende dal singolo Istituto scolastico e credo che ne parleremo in seguito.

Nel vostro Istituto avete svolto un progetto incentrato principalmente sul laboratorio di scienze. Ci descrive questo progetto ed in particolare gli aspetti legati alla didattica laboratoriale?

Il progetto sposa due aspetti importanti, il primo è la mia passione per l’erboristeria e le scienze erboristiche, il secondo aspetto è l’orto botanico, di cui nell’Istituto alberghiero di Ceccano mi occupo personalmente. Proprio sfruttando alcune varietà di piante che curiamo nell’orto botanico, abbiamo messo in campo questo progetto in collaborazione con l’assistenza specialistica che ci ha permesso di realizzare sei differenti prodotti come l’idrolitio, il burro di cacao, il profumo, delle caramelle e leccalecca e anche uno sciroppo alla camomilla.

La collaborazione dell’assistenza specialistica è stata fondamentale, perché abbiamo coinvolto classi prime e secondo ed in particolare gli alunni con DSA, che nel nostro Istituto sono presenti in gran numero. Il Punto di forza del progetto è stato quello di coinvolgere gli alunni con DSA e fargli assumere il ruolo di Tutor e, attraverso questo tutoraggio, sono stati in grado di guidare sia alunni certificati gravi che gli altri compagni di classe. Questo è stato possibile perché l’approccio pratico del laboratorio di scienze e di chimica permette di fare operare i ragazzi attraverso gli strumenti che sono loro più congeniali, ma l’aspetto che ritengo molto importante è che l’esperienza pratica permette di agire sul recettore, chiamiamolo così, dell’intelligenza emotiva. Quindi l’esperienza sensoriale attiva le emozioni dalle quali scaturisce la motivazione che fa scattare il piacere verso l’apprendimento e da qui parte la ristrutturazione della mappa cognitiva che va praticamente a rielaborare i concetti acquisiti con quelli che erano già presenti nella mappa stessa.

Questo è un termine ben conosciuto quando si parla di warm cognition, l’educare con le emozioni calde. Ritengo che questo sia il modo per far funzionare l’apprendimento. Sono anni che si punta il dito verso la didattica trasmissiva, però sostanzialmente in molti casi si continua a perseguire quel tipo di approccio che però non porta grossi risultati. Questo è vero in particolare nell’istruzione professionale e nell’istruzione tecnica dove probabilmente è più difficile l’insegnamento. Secondo me chi lavora in un istituto professionale ha qualcosa in più perché lo ha sperimentato sulla propria pelle nel corso degli anni.

Nel progetto c’è stata una collaborazione sinergica tra docenti e assistenti specialistici. Come avete creato questa sintonia e quali sono gli ambiti che riguardano le due figure?

La sintonia si è creata naturalmente, perché poi ovviamente sono le persone e i rapporti interpersonali che agiscono all’interno dei progetti. Purtroppo non è sempre così semplice, anche perché nel corso degli anni si incontrano persone diverse. C’è però da sottolineare che la figura dell’assistente specialista da un lato non è sufficientemente valorizzata, ma allo stesso tempo non abbiamo un quadro normativo chiaro. Io ho avuto la fortuna di lavorare con assistenti specialistici, prevalentemente donne, che erano persone appassionate e molte di loro erano persone impegnate nel TFA, quindi sono persone che hanno la vera passione per l’insegnamento. Però capita anche di avere delle situazioni in cui non si riesce a portare avanti i progetti.

Per quanto riguarda la Regione Lazio ci sono stati anche dei cambiamenti normativi nel tempo. Come accennavo precedentemente, recentemente è uscito il nuovo bando che non discosta molto da quello dello scorso anno, ma analizzando e confrontando quello del 2017 con il bando del 2022 si può notare il cambiamento in quanto nel 2017 si prevedeva l’assistenza specialistica esclusivamente sugli handicap, sulla certificazione di disabilità, e si vietava espressamente l’utilizzo di queste figure sui disturbi specifici dell’apprendimento o su altre tipologie di svantaggio. Nel 2022 invece il campo di applicazione si è ampliato e la Regione ha deciso di includere anche quelli con grave svantaggio. Ma ogni Regione, ogni città, calibra questa figura secondo la propria convinzione, ad esempio nella città metropolitana di Torino praticamente si può dare l’assistenza specialistica soltanto agli alunni certificati, quindi ai portatori di disabilità, ed è espressamente vietato, come era in precedenza nella Regione Lazio, l’applicazione sui Disturbi Specifici dell’Apprendimento.

Nella città di Salerno, invece, non basta neanche la certificazione di disabilità, ma si deve valutare caso per caso. Mi piace tornare sui dati della Regione Lazio perché fa riflettere anche sul mio lavoro, perché questo Ente fornisce delle linee guida di intervento per l’assistenza specialistica; ad esempio un tipo di intervento è calibrato sull’impegno all’interno di laboratori di scrittura, cosa che non ho potuto fare, così come nel precedente lavoro di cui abbiamo parlato nella scorsa intervista. Le linee guida consigliano anche fortemente progetti di tutoraggio in cui l’assistenza specialistica sia coinvolta e questo si può dire che è stato il nostro progetto, dove l’assistente ha fatto da tutor verso quegli alunni con DSA che a loro volta si sono formati come tutor.

Un aspetto importante sul quale credo si debba riflettere è la formazione di questa figura, è un altro aspetto poco chiaro, ad esempio a Torino si richiede un diploma di scuola superiore con competenze di tipo pedagogico, oppure un’esperienza pluriennale, cosa che in altri bandi, in altre regioni, non è previsto. Parliamo di una figura che è prevista dalla Legge 104/92 art. 13 comma 3 che andrebbe valorizzata e formata a livello nazionale, ma la riforma del titolo V della Costituzione non ha aiutato l’istruzione pubblica ma neanche la definizione di queste figure e ho paura che con ulteriori modifiche, di cui si parla, il problema potrebbe essere ancora maggiore.

Un’ultima domanda. Sebbene la figura specialistica si sia dimostrata fondamentale in molti contesti non è ancora pienamente riconosciuta e il suo inquadramento cambia da regione a regione e da ente ad ente. Quali sarebbero i giusti passi per valorizzare l’assistenza specialista in un contesto scolastico nazionale?

Credo che sia necessario un intervento su due livelli, uno a livello centrale, Ministeriale, ma l’altro soprattutto a livello di singola scuola, di singolo Istituto. Faccio un esempio, la Regione Lazio prevede che l’assistente specialistico non sia responsabile della didattica, si deve occupare sostanzialmente di integrazione, però poi quando parliamo di handicap grave il confine tra didattica, autonomia e integrazione si va a sciogliere e quasi non si riconosce più. Ritengo che una soluzione sia che all’interno del singolo Istituto sia necessario un maggiore coordinamento tra il servizio di assistenza psicologica, il dipartimento di sostegno, quindi i singoli docenti, ma anche con i docenti curricolari, i quali dovrebbero riunirsi e decidere su quali discipline applicare l’orario dell’assistenza specialistica e quali progetti effettivamente sposare e portare avanti. Ad esempio nella città metropolitana di Torino è espressamente vietato la presenza di più figure adulte sullo stesso alunno durante le stesse ore di scuola.

Purtroppo non è sempre così, in certe realtà succede questa sovrapposizione e secondo me è uno spreco di risorse. Francamente le dico che fino a poco tempo fa ero convito che l’assistenza specialistica si dovesse occupare degli handicap gravi, vedendo il lavoro che poi sono riuscito a portare avanti con alunni DSA mi sento di dire che sono una risorsa utile in ogni ambito di difficoltà. Sulle difficoltà gravi utilizzerei la risorsa dell’assistenza specialistica per fare laboratori di scrittura e situazioni esterne alla classe, so bene che questo non va molto di moda a livello di pedagogia e di didattica speciale in Italia, però sono convinto, anche per le mie recenti esperienze, che in situazione di handicap gravi, con alunni che non sanno scrivere e arrivano a 17 anni in queste condizioni, per acquisire un’autonomia minima a livello didattico si deve assolutamente uscire dalla classe, cosa che si fa ad esempio nel sistema finlandese, del quale si enfatizzano solo alcuni aspetti come la ricchezza di risorse o i dispositivi multimediali, ma nessuno si preoccupa di dire che ad esempio in Finlandia la didattica delle situazioni di difficoltà raramente, o comunque in periodi limitati, sposa la didattica del resto della classe.

Credo che sulle disabilità gravi ci sia la necessità di acquisire una certa autonomia e in questo contesto l’assistenza specialistica, nei laboratori di scrittura, come espressamente sollecitato dalla Regione Lazio, sia assolutamente utile. Per quanto riguarda le difficoltà più lievi come i DSA, ritengo che l’assistenza specialistica sia certamente utile ma andrebbe utilizzata all’interno di progetti miratati e stabiliti a livello di dipartimento di sostegno con il coinvolgimento dei docenti curricolari e con le altre figure che si occupano di inclusione e di integrazione.

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