Delitto Macchi, ora Binda chiede 303 mila euro per 1.286 giorni di carcere

di Andrea Camurani

Binda, oggi 53enne, venne arrestato nel 2016 con l’accusa di essere l’assassino di Lidia Macchi: il corpo della ragazza venne trovato in un bosco di Cittiglio (Varese) nel gennaio del 1987. L’uomo è stato assolto in Cassazione: «Ingiusta detenzione»

Circa 303 mila euro per 1.286 giorni di ingiusta detenzione: è questa la cifra chiesta da Stefano Binda allo Stato, e martedì mattina 24 maggio in Corte d’Appello di Milano si è tenuta l’udienza per la richiesta dell’indennità prevista dalla legge.

«Ingiusta detenzione»

L’udienza della quinta sezione penale si è aperta con la lettura della relazione della procura generale che si è opposta alla richiesta dei legali di Stefano Binda. L’uomo, oggi 53enne, venne arrestato nel gennaio 2016 con l’accusa di essere l’omicida di Lidia Macchi, la giovane assassinata il cui corpo venne trovato in un bosco di Cittiglio nel gennaio del 1987.

La decisione della Corte

Binda era presente in aula a Milano per la breve udienza tenutasi attorno alle 9.30, assistito dagli avvocati Sergio Martelli e Patrizia Esposito che lo hanno difeso nelle fasi processuali che hanno visto la sua condanna all’ergastolo nell’aprile 2018, e la completa assoluzione in assise d’Appello a Milano nel luglio del 2019 e poi definitivamente in Cassazione con motivazioni che ribaltavano completamente il giudizio di primo grado dei giudici varesini. «Per l’esito della decisione», fa sapere l’avvocato Patrizia Esposito, «la corte si è riservata, e potrebbe volerci qualche giorno».

Il «cold case», gli ambienti religiosi e il «mostro»

La vicenda di Lidia Macchi rappresenta ad oggi uno dei principali omicidi irrisolti che scossero profondamente il Varesotto e gli ambienti vicini a Comunione e Liberazione, il movimento frequentato dalla giovane studentessa: un primo filone di indagini toccò anche gli ambienti ecclesiastici ma finirono in nulla. Un secondo filone, quello del «mostro» venne battuto dalla procura di Milano che avocò l’inchiesta e indagò Giuseppe Piccolomo, il killer delle mani mozzate (all’ergastolo per l’omicidio di Carla Molinari, 82enne cui vennero amputate le mani dopo averla uccisa a coltellate, con un modus operandi simile a quello avvenuto per l’omicidio Macchi) additato dalle figlie come possibile sospettato per l’omicidio. Ma anche in questo caso questa strada processuale si rivelò un vicolo cieco e l’imputato venne scagionato dal dna.

Cosa fa oggi Stefano Binda

Fu nel 2015 che si aprì la strada alle indagini che si concentrarono su Stefano Binda la cui grafia sembrava essere compatibile con quella della poesia «In morte di un’amica» inviata ai genitori di Lidia Macchi nel giorno dei funerali è ritenuta la «firma» dell’assassino dalla corte d’Assise di Varese ma non dalle corti di grado superiore che assolsero l’imputato. Stefano Binda, laureato in filosofia e che ora vive a Brebbia sempre nella casa di famiglia, oggi svolge attività culturali nelle associazioni del territorio, e durante il periodo della carcerazione si distinse per aver aiutato diversi detenuti nella complicazione di documenti e istanze.

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24 maggio 2022 (modifica il 24 maggio 2022 | 12:47)

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, 2022-05-24 11:37:00, Binda, oggi 53enne, venne arrestato nel 2016 con l’accusa di essere l’assassino di Lidia Macchi: il corpo della ragazza venne trovato in un bosco di Cittiglio (Varese) nel gennaio del 1987. L’uomo è stato assolto in Cassazione: «Ingiusta detenzione», Andrea Camurani

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