Conte, i pugni sul tavolo e i timori del Pd: non è che l’inizio, il capo M5S «farà il Salvini»

di Francesco VerderamiLorenzo Guerini spiega ai suoi: così il campo largo non può reggere. Specie se nella sfida politica viene coinvolto il governo Draghi, su cui i democratici hanno investito «Non è che l’inizio», Guerini ne è persuaso: da qui in avanti «Conte farà Salvini», minando il campo del governo e il campo largo di Letta. Già la scorsa settimana, alle prime mosse del leader cinquestelle, il ministro della Difesa aveva sentito puzza di bruciato. E l’altro giorno, osservando il video in cui Conte si è messo a battere i pugni sul tavolo, mentre alcuni compagni del Pd ritenevano fosse impazzito, Guerini ha avuto la prova che aspettava: «Non lo vedete che sta recitando?». Il piano gli è chiaro, ma dato che avvertiva un certo scetticismo nel partito, ha preso a inviare ai dirigenti una serie di messaggi con le dichiarazioni fatte in sequenza dall’ex premier: sull’economia «non sappiamo nulla»; sul Pnrr «siamo preoccupatissimi». Si aspetta il resto sulla giustizia. Ed è ovviamente legittimo che Conte faccia il suo gioco, che «per cercare di non perdere altro consenso» tenti la carta del «ritorno alle origini» del Movimento. Il problema è per il Pd, perché così l’idea del campo largo con M5S «non può reggere». Specie se nella sfida politica viene coinvolto il governo Draghi, su cui i democratici hanno investito. E passi che Conte con le sue manovre delegittimi di fatto i ministri grillini, che sanno (ma pubblicamente non dicono) quale fosse l’accordo sull’aumento dei fondi alla Difesa. Passi anche che si metta a duellare a colpi di dichiarazioni con Palazzo Chigi, visto che il premier sa difendersi da solo. Il punto è che in prospettiva una simile alleanza «senza coesione e credibilità», apparirebbe agli occhi degli elettori meno solida dell’intesa che fu tra Prodi e Bertinotti. Letta ha chiesto tempo al suo partito per evitare reazioni a caldo, e Guerini — con la guerra in corso — non ha certo il tempo di tornare alle discussioni di qualche mese fa, quando insisteva perché si trovasse un’intesa in Parlamento su una legge elettorale proporzionale che separasse i destini nelle urne di Pd e M5S. La riforma del meccanismo di voto non sembra interessare il segretario dem, teso piuttosto a consolidare il rapporto bipolare con la leader di FdI, in una logica di reciproco riconoscimento. Infatti (anche) la prossima settimana Letta e Meloni saranno protagonisti di un confronto, organizzato stavolta dalla fondazione Farefuturo sul tema dei rischi per la democrazia. Finirà la stagione dei dibattiti e inizierà quella dei comizi. E per il Pd un conto è condividere con i grillini un candidato sindaco alle Amministrative, altra cosa dividersi i collegi alle Politiche. Va bene che «competition is competition», i democratici ci sono abituati, ma la polemica di Conte sull’aumento dei fondi alla Difesa è una mossa ostile, una sorta di prova generale di quanto sta per accadere. Giocata peraltro su un tema che tocca un nervo scoperto nel Pd. Se è vero infatti che sul conflitto ucraino il segretario dem ha assunto una posizione netta, è altrettanto vero che l’antico armamentario culturale della sinistra appare e scompare nel partito come un fiume carsico. E ha nel mirino Guerini, considerato «fin troppo atlantista» con la sua idea che i finanziamenti alla Difesa siano una necessità «per un Paese che vuole avere un ruolo nella sfida geopolitica», ma anche un’opportunità «visto che gli investimenti nel settore portano occupazione e producono Pil». Nei democratici c’è una forma di resistenza passiva a questa dottrina, che si salda anche nel lessico con il fronte grillino. È un’area a cui la scorsa settimana il vice segretario dem Provenzano ha dato voce. Conte aveva appena attizzato la polemica — dicendo che la priorità sono le bollette dei cittadini e non le armi per i militari — e sulla Stampa Provenzano ha prima spiegato che la quota del 2% del Pil da destinare alla Difesa «non può diventare un feticcio», poi ha sottolineato che «l’aumento della spesa militare è insostenibile se avviene a scapito della spesa sociale». Proprio la tesi “populista” che il Nazareno considera infondata e che contesta. Ma che deve far presa in una parte dei democratici, se ieri l’europarlamentare Majorino ha criticato il modo in cui è stata impostata la discussione sui fondi per le armi: «Siamo partiti nel modo peggiore». Ecco cosa sta producendo la mossa di Conte, impegnato in una sfida per la sopravvivenza. «Non è che l’inizio», secondo Guerini. E non è chiaro quale sarà l’esito nel campo del governo e nel campo (un po’ meno) largo del Pd. 2 aprile 2022 (modifica il 2 aprile 2022 | 00:11) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-04-01 22:11:00, Lorenzo Guerini spiega ai suoi: così il campo largo non può reggere. Specie se nella sfida politica viene coinvolto il governo Draghi, su cui i democratici hanno investito, Francesco Verderami

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