Con 100 euro agli studenti più bravi si guarda alla scuola come ad unazienda e non come istituzione educativa. Laffondo di Galiano

“Penso sia una scelta che guarda alla scuola più come a un’azienda, che come a un’istituzione educativa. Un dirigente che prende questa direzione forse avrebbe bisogno di aggiornarsi un pochino su quello che gli studi e le ricerche pedagogiche hanno portato alla luce negli ultimi trent’anni”.

E’ il commento di Enrico Galiano, docente e scrittore, a Il Mattino di Padova, in merito all’iniziativa di una scuola padovana di elargire un premio in denaro di 100 euro agli studenti con la media superiore al 9.

Avrei potuto “tollerare” l’idea di un premio in esperienze o cultura: agevolazioni nei luoghi d’arte o libri, ma studio e denaro dovrebbero rimanere ben distinti“, prosegue.

Secondo l’insegnante, “purtroppo i nostri ragazzi non sono messi sempre nelle stesse condizioni di partenza. Ci sono ragazzi che lavorano, magari in famiglia, altri che devono fare tutto da soli, e altri ancora che sono supportati dai genitori o da insegnanti per lezioni private. Ma ci sono anche studenti che non sono messi nelle condizioni domestiche per far bene i compiti, abbandonati a loro stessi, e altri che hanno tutti gli strumenti per apprendere. Nella mia esperienza ho imparato che spesso chi arriva più lontano è quello che è stato “aiutato” di più da elementi esterni alla scuola. Il sistema parte da falle importanti“.

Infatti, “quando immagini la scuola come il luogo della prestazione, stai uccidendo il suo principale valore, l’allenamento alla vita. Purtroppo, anche senza i 100 euro di premio, competitività e ambizione sono arrivati a livelli preoccupanti e questo perché glielo insegniamo a casa, in famiglia, nella società. Stiamo dicendo ai ragazzi che i vincenti sono i buoni e i perdenti i cattivi. Questo è fuorviante. Se anche la scuola si adegua a questo modo di concepire la vita, è una dichiarazione di sconfitta. Non stupiamoci se mollano la scuola, se nel nostro Paese la dispersione scolastica è fra le più alte d’Europa“.

Galiano punta l’attenzione anche su un altro aspetto, ovvero quel disagio e quel malessere di cui spesso ci siamo occupati ultimamente. Che è venuto fuori, ad esempio, fra i ragazzi del liceo milanese Berchet. Ma non solo. Ecco perchè, secondo lo scrittore, “il malessere di un ragazzo non è mai solo una questione individuale, ma un campanello d’allarme universale. Un ragazzo di 19 anni che si sente fallito, non è un fallito: fallita è la società che gli ha insegnato una cosa falsa e in mala fede, ovvero che nella vita devi sempre riuscire, devi essere perfetto“.

Infine, un commento diretto al Ministro Valditara:  “se un ministro vuole chiamare il dicastero dell’Istruzione anche “del merito”, mette in secondo piano la formazione della persona, e propone già a scuola un modello altamente competitivo. Mentre ogni insegnante o preside o collaboratore scolastico che conosce e ama il suo lavoro, che ha consolato un ragazzino che piangeva per una verifica andata male, sa che prima di tutto vengono le persone e la loro crescita“.

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