Perché i cinghiali sono arrivati in città (e non intendono andarsene)

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di Enrico Alleva

L’irresistibile attrazione per il cibo «facile» e la minor paura dell’uomo non bastano a spiegare l’«infiltrazione» dei branchi dalle periferie al centro. Nuovi studi sui soggetti più avventurosi avanzano l’ipotesi che le novità, anche topografiche, provochino nel loro cervello il rilascio di sostanze piacevoli

Sui media nazionali, soprattutto quelli romani, l’«infiltrazione» di cinghiali che dalle zone periferiche della città si addentrano fin verso aree considerate centrali ha fatto e ancora fa davvero scalpore. Alla base di questo fenomeno, per alcuni di vera e propria invasione, c’è l’irresistibile attrazione che questi mammiferi suidi provano per le abbondanti immondizie che cittadini sempre più ricchi (ma anche sempre più spreconi) lasciano a loro disposizione: cataste di buste facili da lacerare attorno ai cassonetti, ma anche cibo abbandonato in campagna dopo le gite del weekend o i residui alimentari lungo parchi e panchine di strade affollate. Queste disponibilità rappresentano un irrefrenabile percorso di cibo che ricorda un po’ le molliche di pane lasciate dal Pollicino della fiaba e che conducono in zone dove fino a pochi mesi orsono questi grossi, irsuti mammiferi mai si sarebbero addentrati.

Si registra qualche incidente o almeno qualche incontro che ha generato paura e allarme: soprattutto chi va a spasso con il cane, nella cui mente risiede “addormentato” il lupo ancestrale, proverbiale predatore di cinghiali e di altri mammiferi anche di grande taglia, è motivo di contrasti. E quando il proprietario umano si mette in mezzo, il fraintendimento a tre può generare qualche spiacevole incidente. Il cane, anche di piccola taglia, abbaia e si agita. Non di rado si avvicina eccitatissimo al cinghiale, che guardingo può avere reazioni aggressive.

Ma il pericolo maggiore è la tendenza zoofila, ed ecologicamente davvero insensata, per la quale alcuni “benintenzionati” nutrono spontaneamente i cinghiali. La scena delle mamme che nella zona nord di Roma portavano il cibo a una scrofa cinghialessa e ai suoi piccoli è rimasta impressa. Nutrire animali selvatici è sempre un errore, li si rende troppo docili e dunque si aumentano i pericoli per la loro sopravvivenza: un animale troppo domestico rischia di finire investito, schiacciato, molestato, ucciso da qualche malintenzionato. La presenza di femmine con piccoli è probabilmente legata alla ricerca di un cibo particolarmente adatto alla produzione del latte, ricco di quei grassi e quelle proteine che diventano una irresistibile attrazione alimentare per madri cui spetta di nutrire elevati numeri di piccoli a rapida crescita.

Quando si nutre un animale selvatico, esso metterà in azione quei potenti moduli comportamentali che utilizza da piccolo, magari per mendicare il cibo dai genitori. Una volta abituato a essere nutrito, capiterà che insegua festoso qualche malcapitata signora che esce dal supermercato con le buste della spesa bene in vista, scambiandola per un umano caritatevole. Evento a rischio di molto spavento, fuga, nel peggiore dei casi caduta. Questi episodi vanno dunque monitorati, analizzati, prevenuti, individuando i soggetti animali causa di maggior disagio e su cui quindi intervenire prontamente.

Audaci e esplorativi

Per i neuroetologi è motivo di grande curiosità – ed è una ricerca che potrebbe portare a interessanti strategie per contrastare questa penetrazione in città – la ricerca e individuazione di quei soggetti animali che sono particolarmente “audaci”, “esplorativi”: insomma quelli che per per una particolare personalità per primi si avventurano in città e che fungono da efficaci apripista per i branchi che poi li seguiranno. Si specula, qualche volta si misura, se all’interno del cervello di questi soggetti tecnicamente denominati bold alcuni circuiti cerebrali siano particolarmente propensi a rilasciare sostanze “cerebralmente” piacevoli qualora la mente del soggetto incontri ambienti e stimoli nuovi, con i quali non si è mai fatta esperienza prima. Un’auto-iniezione di piacere nel cervello stimolata da novità anche topografiche.

Che fare in caso di incontro

In generale, la migliore strategia preventiva è quella di cercare di “ragionare” come il cinghiale, penetrare nella sua mente. Innanzitutto, in una strada stretta o in un vicolo, non chiudere con la propria presenza le vie di fuga. Un corpo umano, o magari una coppia di persone, possono essere interpretati come un ostacolo pericoloso. Poi, non bisogna frapporsi mai fra i cuccioli e gli adulti, precauzione che vale sempre con tante specie animali, dato che può scatenare reazioni difensive immediate. Anche se essa più spesso consiste in una minaccia piuttosto che in un vero e proprio attacco, dato che questi animali non hanno nessuna motivazione esistenziale per fare del male a degli esseri umani.

Il legame in particolare tra la scrofa e i figli è forte e spiccatamente protettivo. Si stabilisce già al momento del parto, ma è rafforzato nel periodo dell’allattamento. Sembrerebbe che in varie specie di mammiferi infatti la stimolazione meccanica applicata sui capezzoli dalle labbra dei cuccioli stimolerebbe la secrezione, a livello cerebrale, di particolari agenti peptidici (più piccoli e mobili delle proteine) che renderebbero la madre pronta a reagire nei confronti di stimoli che rappresentino un pericolo potenzialmente mortale per i propri piccoli. Secondo alcuni studiosi, il numero di piccoli in allattamento sarebbe forse direttamente proporzionale a questa tendenza aggressivo-difensiva della madre.

L’errore social

Una precauzione importante, e regolarmente disattesa, riguarda la perniciosa tendenza a riprendere i cinghiali, (e altre specie come gli orsi) con il telefonino, puntando verso di loro e avvicinandosi lentamente ma in linea retta. Questo sarebbe esattamente il comportamento che un predatore attua contro una sua preda. La punta (senza spostare lo sguardo) e poi vi si avvicina con lentezza, ma direttamente. Insomma chi tenta di videoregistrare un animale ripercorre inavvertitamente le mosse che la mente animale è abituata a interpretare come un attacco predatorio. Di lì, la risposta di reazione difensiva.

Anche la storia zooantropologica di questi branchi di suini che scorrazzano per campagne e si avventurano per le vie cittadine (si registrano crescenti casi di lupi che si nutrono di cinghiali, con zoologi che intravedono in questo fenomeno una componente utile di bilanciamento naturale) meriterebbe di essere esaminata con molta maggiore cura. Comprendere il progredire del fenomeno invasivo, delinearne le rotte e i progressi nel tempo è un elemento diagnostico importante e urgente soprattutto per i casi che provano maggiori allarmi e incidenti.

La narrazione prevalente è che il numero così elevato di cinghiali nelle campagne e di riflesso nelle periferie cittadine sia legato, evento comprovato, alla massiccia immissione di razze nord-centro europee che qualche improvvida associazione venatoria avrebbe importato a fini di ripopolamento e comunque di aumento della selvaggina. Queste razze sarebbero più prolifiche e dunque spiegherebbero almeno in parte l’aumento delle popolazioni, assieme all’abbandono delle campagne verificatosi massicciamente dal Dopoguerra.

Un animale “ibrido”

Un esperto del calibro di Marco Apollonio (Università degli Studi di Sassari) ci ricorda però che alcune analisi genetiche hanno verificato come parecchi dei soggetti scambiati per cinghiali «puramente selvatici» in realtà mostrerebbero patrimonio genetico in comune con i maiali domestici, frutto di incroci probabilmente involontari. La selezione artificiale del maiale lo ha reso nei secoli di maggiori dimensioni, molto più prolifico e soprattutto meno timoroso della vicinanza con la specie umana, caratteristiche queste che tutte coopererebbero nel facilitare la penetrazione di questi ibridi cinghiale-maiale in città. Si tratterebbe forse di soggetti geneticamente predisposti a una minore «distanza di fuga» dagli esseri umani e questo spiegherebbe tanta apparente docilità, quasi indifferenza a passeggiare nel traffico cittadino, anche se le ore notturne restano quelle più adatte agli sconfinamenti della fauna di mammiferi che penetra nelle zone metropolitane. I tassi, gli istrici, le volpi e i porcospini sono oramai frequentemente immortalati da telefonini e fototrappole, elementi probanti della loro capacità di colonizzare aree in passato quasi esclusivamente popolate da Homo sapiens.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

30 ottobre 2022 (modifica il 30 ottobre 2022 | 16:46)

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, 2022-10-30 15:59:00, L’irresistibile attrazione per il cibo «facile» e la minor paura dell’uomo non bastano a spiegare l’«infiltrazione» dei branchi dalle periferie al centro. Nuovi studi sui soggetti più avventurosi avanzano l’ipotesi che le novità, anche topografiche, provochino nel loro cervello il rilascio di sostanze piacevoli, Enrico Alleva

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