Abbandono scolastico e dispersione, malattia cronica del nostro sistema, ma in tanti lasciano per problemi familiari

Le diverse riforme che hanno investito il sistema scolastico negli ultimi decenni hanno modificato parecchio il vecchio “impianto gentiliano” moltiplicando i percorsi secondari e accrescendo in modo significativo l’offerta.
Nonostante ciò, l’istruzione non è ancora diventata un meccanismo di affermazione sociale, anzi si presenta sempre più come uno strumento che serve a ratificare e a consolidare la stratificazione sociale.

Su questo tema sono intervenuti di recente sulla testata Lavoce.info Emmanuele Crispolti ed Emiliano Mandrone, due ricercatori esperti di politiche dei sistemi formativi.

Il problema principale del nostro sistema scolastico, sostengono in sintesi i due studiosi, è soprattutto quello dell’abbandono scolastico.
Alla domanda “ma perché si lascia la scuola?” Crispolti e Mandrone danno una risposta chiara: “Da un lato, abbiamo la mancata iscrizione a un corso di istruzione superiore e dall’altro l’abbandono di un percorso formativo avviato. Nonostante un progressivo innalzamento del livello di scolarizzazione della popolazione, il fenomeno dell’abbandono è purtroppo ancora rilevante nel nostro paese, con un rischio più elevato per i giovani che appartengono alle famiglie più povere”.

I dati parlano chiaro: “Dopo essersi iscritti alla scuola secondaria superiore, quasi 4 milioni di persone hanno abbandonato senza conseguire un diploma: sono più uomini (62 per cento) che donne (38 per cento); il 30 per cento è nel Mezzogiorno, ma oltre il 50 per cento è nelle regioni settentrionali. Peraltro, ben 11,7 milioni di concittadini non si sono proprio iscritti alla scuola media superiore. Ben 5 milioni di diplomati che si iscrivono a percorsi universitari senza portarli a termine rappresentano un significativo dispendio di tempo e sciupio di risorse, personali e collettive”.
E ormai, sempre più spesso “si riduce l’abbandono rispetto alla mancata iscrizione” e quindi “si preferisce interrompere definitivamente il percorso scolastico senza ulteriori tentativi”.

Ma quali sono le motivazioni per le quali si interrompe un percorso formativo?
Ecco la risposta: “Il 40 per cento indica una offerta di lavoro, il 30 per cento sopraggiunti problemi familiari; il 20 per cento attribuisce la causa dell’abbandono a un rendimento basso e solo il 10 per cento indica il disinteresse per il percorso scelto”
Quale soluzione? “Al di là di una quota fisiologica di persone che possono cambiare idea, i dati suggeriscono la necessità di un accompagnamento personalizzato e di un orientamento efficace“.

Affermano i due ricercatori: “L’istruzione (intesa come educazione, scuola, formazione, viaggi, esperienze, elaborazione individuale e collettiva, formale e informale, professionale e generale) fa bene, sempre. È la vitamina I, e come tutte le vitamine non la produciamo da soli, abbiamo bisogno di prenderla per tutta la vita, ma in dosi maggiori durante lo sviluppo, per avere una esistenza completa, un lavoro di qualità, compiere scelte oculate e governare i rischi che il mondo ci presenta”.

In sostanza bisognerebbe forse incominciare a porsi di più il problema delle diverse opportunità formative che i giovani hanno a disposizione e considerare la necessità di incrementare sia la frequenza scolastica in senso stretto sia le occasioni di apprendimento formale e informale al di fuori della scuola.
Nulla di nuovo sotto il sole: di “apprendimento per tutto il corso della vita” si parla da almeno un trentennio, anche se per la verità non si è fatto molto.
Per la verità il problema non riguarda solo l’Italia tanto che anche l’Unione Europea che, proprio il 7 marzo scorso, ha deciso di proclamare il 2023 Anno europeo delle competenze.
L’ iniziativa punta a dare nuovo slancio all’apprendimento lungo tutto l’arco della vita e a promuovere una mentalità di riqualificazione e miglioramento delle competenze.

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