Paolo Kessisoglu: «Ho suonato sul palco con i Deep Purple. La polizia mi scoprì in valigia i dvd di Siffredi»

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di Roberta Scorranese

Il conduttore: «Sono diventato vegetariano per amore di Sabrina». Con Luca Bizzarri «all’inizio non ci prendemmo, però poi arrivo un’alchimia che dura ancora adesso»

Il cognome Kessisoglu ha radici armene, ormai lo sanno tutti.

«Mio nonno, padre di papà, arrivò a Genova durante la prima guerra mondiale. Fuggì dal genocidio. Aprì un negozio bellissimo: tessuti, pezzi di porcellana fina, opere d’arte delicate».

Fu quello il suo primo parco giochi, da bambino nato nel 1969?

«Ricordo quando con mia sorella stiravamo la carta per impacchettare quelle cose preziose: la prendevamo ognuno da un lato e la tiravamo a lungo, perché bisognava poi riutilizzarla».

Intanto il giovane Paolo suonava la chitarra.

«Ero un talento, oggi direi molto bravo. Mai avrei immaginato, un giorno, di suonare sul palco Smoke on the water assieme ai Deep Purple».

Quando è successo?

«Luglio 2008: per la rivista GQ raccontavo alcuni grandi concerti. Al teatro Smeraldo di Milano arrivava la band leggendaria e io mi ero messo d’accordo con un agente che diceva di conoscere benissimo lo staff dei Deep Purple. Peccato che poco prima dell’inizio, Steve Morse, il chitarrista, mi si avvicinò e mi disse: “Ma tu chi sei? E, soprattutto, che cosa ci fai qui?”».

Come andò a finire?

«Gli spiegai tutto, scoprii che loro non sapevano niente ma alla fine mi fecero suonare sul palco. Ma io ho suonato anche con Joe Satriani e con Stefano Bollani. Insomma, non sono male».

Però da ragazzo il teatro ebbe la meglio. L’incontro con Luca Bizzarri?

«Al provino per entrare allo Stabile di Genova. Da trecento si passava a una manciata di candidati, lui mi passò davanti e io gli dissi: “Dai, ci vediamo domani”. Lui rispose: “Io sì, tu boh”».

Modesto.

«Ma anche io ero presuntuoso: inutile girarci intorno, se fai questo mestiere è perché sei insicuro e cerchi qualcosa che trasformi in arte la sua debolezza. All’inizio non ci prendemmo, però poi arrivo un’alchimia che dura ancora adesso. Non facciamo le vacanze insieme e siamo capaci di fare centinaia di chilometri in auto senza dirci una parola. Però quando siamo in scena avviene la magia. Le battute vengono da sole».

È difficile fare battute in un clima come questo, così politicamente corretto?

«Ormai non si può più scherzare su niente».

Per esempio?

«Premetto: la nostra è un’autocensura preventiva. Sappiamo che certe categorie percepite come “penalizzate” sono territorio sensibile e allora ci buttiamo sui politici. Ma è un peccato, perché la battuta non denigra mai nessuno, è solo un esercizio di stile. Alcuni comici come Ricky Gervais scherzano per esempio sull’alcolismo: qui da noi per carità, non si può».

Ma allora un duo come il vostro, fondato sul graffio e sul politicamente scorretto, come fa?

«L’intelligenza è anche saper capire i tempi che viviamo. Questo è un periodo molto caldo per certe rivendicazioni e noi dobbiamo capirlo, senza forzare nulla. Certo, se davvero un giorno ci si troverà a non poter più fare battute su niente vedremo. Adesso bastoniamo i politici, specie a Dimartedì nello spazio che ci ha dato Floris».

Qualcuno ha mai alzato il telefono?

«Renzi, ma per congratularsi. È intelligente e ci sa fare. Poi un giorno mentre scendevo dal treno mi sento dire alle spalle: “Ahò, ma la smettete de’ perculà tutti?”. Era Alessandro Di Battista».

Dieci anni (o quasi) alla conduzione delle Iene e ancora avete sete di sangue?

«Lì però chiamavano soprattutto le grandi aziende che si sentivano danneggiate, non i politici. E Mediaset non ci ha mai censurato. Nemmeno quando ironizzammo sul Grande Capo».

Berlusconi?

«Sì, il giorno dopo squillò il telefono. Era lui. Si complimentò e di scusò perché non riusciva a venire in trasmissione perché aveva da fare».

Ormai la suscettibilità si è spostata nel sociale.

«L’altro giorno mi è capitato sotto gli occhi un post di una influencer che sosteneva che le mestruazioni sono bellissime, che sono un dono del cielo, che nessuno si deve permettere di bullizzare una donna con il ciclo. Ora, a me questo sembra una follia. Intanto, perché le mestruazioni devono essere una cosa bella o brutta? Sono una cosa naturale, punto. Chi bullizza una donna con il ciclo è un cretino. Mi pare che stiamo trasformando troppe cose in un problema».

Che sintomo è?

«Questo orgoglio così urlato e così “comunicato” a me non dà un’idea di forza».

Un esempio al contrario?

«Paolo Villaggio. Ero accanto a lui quando la Rai organizzò la conferenza stampa per presentare la stagione di Carabinieri a cui partecipava anche lui. Un giornalista gli chiese che cosa lo avesse spinto a recitare in quel ruolo e Villaggio rispose così: “È un marchettone e io avevo bisogno di quattrini”. Un gigante».

A proposito di sincerità, con il format dei «Cugini merda» lei e Bizzarri ne avete dette di ogni a tutti.

«Uh, a Maria De Filippi, per dire, che si sganasciava dalle risate quando la prendevamo in giro per il suo legame con Costanzo. O a Ilona Staller, che fu spiritosissima. Ma quando andammo a casa di Rocco Siffredi fu l’apoteosi».

Racconti, racconti.

«Intanto ci ricevette nella sua casa romana piena di gigantografie. Di lui con la famiglia, certo, ma anche di lui al lavoro. E ho detto tutto. Bene, quando finimmo l’intervista ce ne andammo ma lui ci rincorse per le scale: “Aspettate, non vi ho dato il mio ultimo film”. Ora, lei può immaginare com’era la copertina dell’ultimo dvd del film di Siffredi. Provammo a dire: “Ma no, grazie, lo compreremo, vogliamo sostenere il cinema italiano”. Niente. Io misi il dvd in valigia e pensavo fosse finita lì. In aeroporto, però, la polizia chiese di ispezionare il mio bagaglio. Quando cominciai a farfugliare cose tipo “è per lavoro, è per una intervista”, i poliziotti scossero la testa con indulgenza: “Dicono tutti così”».

E poi avete fatto Sanremo con Gianni Morandi.

«Ma lei l’ha visto mai Morandi che fa l’imitazione di Mogol?»

Un uomo, una leggenda.

«Di più. Ora, lei deve sapere che Morandi racconta sempre di quel periodo in cui ebbe un calo di popolarità dovuto all’ascesa dei cantautori e al declino dei cantanti. Poi, come sappiamo, si riprese alla grande e la sua fama non si è più fermata. Però quella esperienza di blackout lo ha talmente segnato che oggi lui non dice mai no alla richiesta di un autografo. Tanto è vero che una volta dal benzinaio scese dalla macchina per farsi fare una foto con un fan e quando lo avvisarono che qualcuno gli stava portando via l’auto lui non fece un plissé».

Grandissimo.

«Una delle persone più intelligenti, talentuose e amabili che abbiamo. La sera della prima di Sanremo lui alle sette e mezza non si trovava. Non sapevamo dove fosse, lo cercammo ovunque, poi scoprimmo che era tra la folla a firmare autografi e a farsi le foto col pubblico».

In quella edizione c’erano anche Belén Rodríguez e Elisabetta Canalis.

«Gareggiavano a chi arrivava più in ritardo».

Che iena.

«Ma no, sono bravissime».

Momento verità: non è che Le Iene hanno un po’ esagerato con quel metodo da Inquisizione televisiva?

«Allora, questa la voglio dire bene. Il punto è che quando un format funziona non puoi cambiarlo. Ma non ogni situazione si adatta a quella “scatola”. Ci sono casi che valgono un’ora di servizio e casi che non reggono quel format. Allora, sì, forse hanno esagerato, ma nel ripetersi».

Che iena improvvisamente mansueta.

«Ma è vero, dai. La televisione non è una cosa facile. Per dire, uno vede una puntata di Camera Cafè e pensa che dire due battute in piedi sia una sciocchezza. Ma noi arrivavamo a girare fino a cinque episodi in un giorno e non c’era montaggio. Anche le guest star come Gassman e Haber sbarellarono, perché non si aspettavano una formula così teatrale. Era complicato pure per noi, tanto è vero che scrivevamo il copione su dei fogli che poi appendevamo nella macchinetta del caffè, il cuore di tutta la sit-com».

Come guest star avete avuto grandi nomi.

«Violante Placido non venne presa al provino e ci tenne il muso per anni. Scherzando, ovviamente. Ma era un set molto duro. C’era il capoprogetto, Christophe Sanchez che andava in giro con una mazza da baseball. Avviso per quelli dei social: era per scherzare, non l’ha mai usata su nessuno, tranquilli, nessuno si è fatto male».

Oggi bisogna spiegare tutto.

«Non si sa mai».

Come ha conosciuto sua moglie, Sabrina Donadel?

«Era amica di Tamara Donà che a sua volta era amica di Luca. Mi feci dare il suo numero e la chiamai per invitarla a cena. Mi disse di no. Poi mi chiamò lei, per invitarmi a una festa a casa sua. Risposi: “Non ho tempo, sono molto impegnato, grazie”. Infine accadde che venimmo invitati tutti e due a una cena alla quale decidemmo di andare all’ultimo minuto. E insomma, siamo sposati e la nostra Lunita ha 19 anni».

È vero che lei è diventato vegetariano seguendo l’esempio di Sabrina?

«Sì, l’idea è partita da lei e io l’ho seguita. Abbiamo passato quindici anni da vegetariani integralisti, poi abbiamo allentato un po’ il rigore e oggi un po’ di pesce lo mangiamo».

E infine c’è la bicicletta.

«Abbiamo organizzato una biciclettata di 24 ore con grandi campioni e personaggi dello spettacolo per raccogliere i fondi destinati all’ospedale Gaslini di Genova. Trentamila euro».

Ma che iena buona.

«La stagione televisiva non è ancora ricominciata».

6 luglio 2022 (modifica il 6 luglio 2022 | 00:01)

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, 2022-07-05 22:26:00, Il conduttore: «Sono diventato vegetariano per amore di Sabrina». Con Luca Bizzarri «all’inizio non ci prendemmo, però poi arrivo un’alchimia che dura ancora adesso», Roberta Scorranese

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